I SEMI DELLA MITEZZA

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Ci sono bambini di etnia hutu e tutsi che vanno ogni giorno a scuola normalmente, giocano e pregano e cercano di accontentarsi del necessario vivendo con fiducia il domani. Così anche i piccoli ospiti della casa di accoglienza “Kaze Yezu” situata nella capitale del Burundi che si prende cura di bambini vulnerabili e ad alto rischio sociale. Sono le riflessioni sulla nonviolenza di don Oreste Benzi ad accompagnare dal 2012 lo stile dei missionari dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, laici e sacerdoti, che hanno scelto di restare e vivere dalla parte delle vittime in questa terra d’Africa segnata da tante violenze, spesso nascoste ai media. A raccontarlo è don Mario Zacchin, sacerdote bolognese, responsabile per l’Associazione fondata da don Benzi delle missioni in Burundi, Sierra Leone, Kenia, Tanzania, appena rientrato dal continente africano. “La vita scorre normalmente, con un’apparente tranquillità ma per molta parte della popolazione continua ad essere difficile sbarcare il lunario – spiega il sacerdote che ha vissuto diversi anni fa in Tanzania – e quindi tantissimi sono quelli che vivono nella miseria. Per non dimenticare poi le migliaia di persone sfollate nei vicini Uganda, Ruanda e Tanzania. Purtroppo l’odio tra i due popoli è ancora molto forte anche se all’esterno non si vede”.

Proprio nella periferia di Bujumbura, nel settembre del 2014 sono state uccise le tre missionarie saveriane Olga Raschietti, Lucia Pulici e Bernardetta Boggian di cui ancor oggi, a due anni di distanza, non è conosciuta la motivazione dell’assassinio, probabilmente collegato alle tensioni che attraversavano il paese. Ciò che resta però della loro vita è un seme di pace molto forte. Anche l’Arcivescovo di Bologna, monsignor Matteo Maria Zuppi, ha a cuore questa terra e la testimonianza di vita che scaturisce dal martirio delle tre religiose. E pochi mesi fa ne ha fatto un libro intitolato “Va, dona la vita! Storia, parole, morte di tre missionarie saveriane in Burundi”. “Il Burundi è uno dei Paesi dove il male ha segnato tragicamente la vita di generazioni di uomini e donne” – scrive Zuppi nella prefazione al volume . Ma oggi ciò che conta è trarre esempio dallo stile di mitezza delle tre martiri e dalla scelta coraggiosa di “farsi uno con il popolo al quale sono state inviate. Si comprende solo in questa luce la scelta di ritornare in Africa, contro quanto potevano consigliare la salute e soprattutto l’età avanzata. Esse sono in realtà la testimonianza di una vita spesa fino alla fine, di una giovinezza del cuore, di una vecchiaia che non smette di avere sogni”. La loro vita al fianco degli ospiti della casa ci incoraggia a “non accomodarci mai con la mentalità del male e ad affrontarlo con l’unica forza capace di sconfiggerlo: la mitezza del cristiano, semplice come una colomba e astuto come un serpente”.

Al centro della struttura dove le suore si prendevano cura dei bisognosi, in particolare delle donne e dei bambini, oggi sorge la Cappella della Pace e della Misericordia che può accogliere fino a 250 persone ed è divenuto luogo di silenzio, riconciliazione e adorazione, come riparazione del male commesso nella regione dei Grandi Laghi. Dell’abitazione in cui sono state assassinate le tre suore è rimasto solo il perimetro esterno, diventando così un ambiente unico, con la piccola cappella in cui pregavano le suore e all’interno della nuova cappella dei rialzi che ricordano dove erano le loro stanze. Per non dimenticare il loro martirio. D’altronde la fede in questa terra è vivissima con una maggioranza di cristiani pari al 92% della popolazione, di cui un 65% è cattolico.

Pur essendoci stati già dal 1995 assassinii di religiosi e vescovi nella Chiesa burundese, la crisi politica e le conseguenti violenze, secondo Anschaire Nikoyagize, referente burundese della Federazione internazionale dei diritti dell’uomo (Fidh) è deteriorata sempre più dopo le elezioni presidenziali del 2015 avvenute in un clima di brogli e manipolazioni. Nel Rapporto sulle violazioni dei diritti umani in Burundi, ha denunciato che nel paese africano si stanno commettendo gravi crimini contro l’umanità ed esiste il rischio di un genocidio.

Secondo la Fidh, dallo scoppio della crisi politica a oggi in Burundi sono morte più di mille persone, altre ottomila sono detenute per motivi politici, dalle 300 alle 800 sono scomparse e più di 300mila sono state costrette a rifugiarsi nei paesi limitrofi. Le forze in lotta sono molteplici: da quelle militari del Presidente ai miliziani dell’Imbonerakure, l’organizzazione giovanile del partito di potere ma anche i gruppi di guerriglia dell’opposizione Forces Républicaines e la Résistance pour un Etat de droit.

Inoltre il Burundi è uno dei paesi africani che si sono ritirati dalla Corte penale internazionale lo scorso ottobre perché aveva aperto un esame preliminare sulle violenze avvenute dal 2015. Inoltre a fine luglio le Nazioni Unite avevano autorizzato l’invio di 228 poliziotti nel paese, ma il governo di Nkurunziza ne aveva rifiutato l’ingresso. Anche il Consiglio europeo aveva rinnovato fino al 31 ottobre 2017 le sanzioni nei confronti del Burundi perché tutte le parti si astenessero da qualsiasi forma di violenza, vincolando gli aiuti finanziari pari a 432 milioni di euro previsti fino al 2020 all’interruzione di ogni forma di repressione. Il rischio di un genocidio appare sempre più alto. Anche la Chiesa, nel 2015, aveva ripetutamente invitato tutti i leader politici ad un dialogo reale, fino alla decisione da parte della Conferenza episcopale burundese di ritirare tutti i membri del clero che collaboravano con la commissione elettorale nazionale. Poco dopo la parrocchia cattolica di Muamba, nella provincia di Muyinga, è stata obbligata a chiudere le proprie porte dopo che diversi militanti del partito CNDD-FDD avevano insultato i sacerdoti chiamandoli “cani”.

Ma la sfida della nonviolenza continua e anche i missionari saveriani lo testimoniano con coraggio nella loro Communauté de formation et d’animation vocationnel: proprio nel cuore di Bujumbura, una trentina di giovani studenti studiano filosofia e teologia approfondendo la propria vocazione missionaria. Per diventare religiosi saveriani continueranno poi il noviziato in Congo e successivamente negli istituti internazionali di teologia, a Parma, Città del Messico, Manila o Yaoundé. Mentre molte religiose si sono trasferite dal paese, tantissimi altri missionari dunque continuano là dov’erano ad essere lievito di speranza.

“In Burundi ci vuole ogni giorno una grande mitezza e pazienza e anche i missionari africani ci testimoniano una straordinaria semplicità unita a una forte spiritualità – conferma don Mario Zacchin -. L’atteggiamento del cristiano deve essere quello di una costante conversione della propria vita. Non di ribellione ma di ricerca paziente di un’intesa, di fraternità, di grande umanità anche se, pensando alle due tribù presenti, c’è ancora tanto odio tra i due popoli. Molte tensioni infatti sono sotto la cenere: il Burundi è come un vulcano che sotto bolle ma per ora non manifesta nessuna eruzione”. Ma i semi di nonviolenza nel cuore della Chiesa burundese potranno contagiare a tal punto da spegnere ogni fuoco. Così scriveva con estrema fiducia una delle vittime del 2014, Bernadetta Boggian: “Nonostante la situazione complessa e conflittuale dei paesi dei Grandi Laghi, mi sembra di percepire la presenza di un Regno d’amore che si va costruendo, che cresce come un granello di senape, di un Gesù presente donato per tutti. Per questo continuo il mio servizio ai fratelli africani, cercando di vivere con amore, semplicità e gioia”.

Irene Ciambezi: