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I NOSTRI SOLDI GETTATI NELL’IMMONDIZIA

Sentiamo ogni giorno parlare di “sprechi” della pubblica amministrazione, ma il termine di solito è un’elaborazione giornalistica riferita ad alcuni episodi specifici. Più raro che questo termine sia inserito tout court in una sentenza della magistratura. Eppure siamo arrivati anche a questo, per di più con riferimento a un tema di assoluta attualità come la gestione dei rifiuti, settore peraltro oggetto di approfondite e clamorose indagini degli inquirenti sulla commistione tra criminalità e politica.

Stavolta però non parliamo di malavita, ma di un “caso simbolo” dell’inefficienza e della disattenzione amministrativa, il che – sotto un certo punto di vista – è anche peggio. Un danno di 900.000 euro “per sprechi di denaro pubblico connessi alla realizzazione e gestione di un impianto per il trattamento del percolato presso la discarica di Cupinoro”, vicino Bracciano, a pochi chilometri dalla capitale. Lo scrivono i giudici della Corte dei Conti, sezione giurisdizionale del Lazio, nella sentenza 367 pubblicata in questo agosto 2015.

Ma andiamo per ordine, ponendoci qualche domanda. Cosa ci si aspetta dopo aver pagato le tasse? Ovviamente che funzionino i servizi. E se il Comune decide di investire tanti soldi della collettività in un progetto che in teoria dovrebbe portare a un risparmio? Che lo stesso controlli che tutto vada a buon fine, che analizzi bene il progetto iniziale, che si attivi se le cose non vanno per il verso giusto. E se c’è di mezzo anche l’ambiente? Che l’attenzione sia aumentata, in quanto non si parla solo di denaro ma di salute del pianeta e dei suoi abitanti. Sembrerebbero domande retoriche, banalità che non dovrebbero nemmeno trovare lo spazio di qualche riga. Già, così dovrebbe essere, ma così non è.

I giudici contabili hanno accertato che l’impianto a Cupinoro per il trattamento del percolato “si è rivelato opera inefficiente – scrivono – risultato vanificata la spesa per la sua realizzazione”. A danno si aggiunge danno, per i “maggiori oneri sostenuti per lo smaltimento presso impianti esterni del percolato non smaltito dall’impianto”.

Se una volta il male dell’Italia erano le “cattedrali nel deserto”, opere iniziate e mai finite, oggi si è passati a strutture invece perfettamente (mal)funzionanti, apparentemente operative ma intrinsecamente inutili.
Se pensiamo poi che quell’impianto, in virtù dell’apporto di biogas da altro impianto, avrebbe dovuto fornire l’intero fabbisogno energetico (circa 750.000 Kcal. =872 kWt.) del comune di Bracciano, si capisce quale perverso meccanismo di inefficienza si sia instaurato.

Al danno operativo si aggiunge – secondo i giudici contabili – l’inerzia amministrativa: gli organi comunali, infatti, “omettevano di intraprendere – è scritto in sentenza – qualsivoglia azione legale anche risarcitoria nei confronti del gestore per il recupero degli ingenti costi sostenuti, sia con riferimento alla realizzazione dell’impianto sia in relazione allo smaltimento della quantità di percolato non trattata dall’impianto medesimo”.

Insomma, soldi della collettività buttati nella realizzazione di qualcosa che non funziona, altri denari pagati per portare altrove ciò che non è possibile smaltire là dove avrebbe dovuto esserlo, nessun controllo di efficienza e qualità, nessuna voglia di far tornare nelle casse del Comune, e dunque nelle tasche dei cittadini, le somme inutilmente pagate. Tutte iniziative – lo dice persino la Procura – che “sarebbero state necessarie e doverose”.

Se l’Italia va male è anche – e forse soprattutto – per questo: scarsa capacità progettuale, mancati controlli, lassismo nel recupero dell’eventuale danno, soldi pubblici che sembrano non avere “peso” quando passano nelle mani degli amministratori. E così, in questa approssimazione strutturale, si naviga a vista, spesso – troppo spesso – sbagliando rotta.

Tecnicamente parlando, a Cupinoro “a causa di un deficit nella trattazione del biogas… si è avuto un deficit di alimentazione dell’impianto che non solo ha reso necessaria l’installazione di una caldaia alimentata da combustibile fossile della potenza di 350.000 kcal, con relativo costo di impianto, ma soprattutto ha reso necessario per la Bracciano Ambiente ricorrere a soggetti terzi per lo smaltimento del percolato”.

Ma ciò che fa più male è il “totale disinteresse – come lo definiscono i magistrati – per le deleterie conseguenze che il permanere della situazione di disservizio avrebbe comportato, come ha effettivamente comportato”. Uno schiaffo alla diligenza del buon padre di famiglia. Chi gestirebbe la propria casa in questo modo?!

Alla fine il sindaco di Bracciano Giuliano Sala – considerato dai giudici l’anello mancante della catena di controllo – è stato condannato a risarcire alle casse pubbliche 900.000 euro. Una decisione che, al di là della persona, alza il coperchio su un certo modo di gestire i soldi pubblici, di certo non limitato solo a questo caso. In un momento in cui ai cittadini vengono chiesti sacrifici quasi impossibili da sostenere, i politici eletti devono tornare a capire il senso proprio della parola “amministratori”, perché è per quello che vengono votati.

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