Sono arrivati da lontano in cerca di un futuro migliore, e con la loro disponibilità hanno dato una famiglia a chi nessuno sentiva di accogliere. E chi accoglie, è stato a sua volta accolto. Una famiglia di immigrati ha aperto le porte di casa ad un bambino, abbandonato in ospedale e rifiutato da tutti. Troppo spesso, quando si parla di immigrazione, si pensa ad un agglomerato di estranei che giungono sulle nostre coste. “Ma perché non se ne rimangono a casa loro?” è la domanda che ognuno di noi si è posto, almeno una volta, dinanzi alle notizie che arrivano dalle isole del Mediterraneo.
Troppo spesso ci dimentichiamo che questi immigrati sono persone, hanno un nome. Compiono migliaia di chilometri di viaggio alla ricerca di una vita migliore sulla nostra bella penisola. Muriel è una giovane donna cingalese che nel 2003 decide di lasciare il suo paese con delle piccola valigie per alla ricerca di un domani. Giunge a Verona, dove incontra il vero amore: un ragazzo cingalese che fatto la stessa scelta Di abbandonare la sua patria investendo i suoi risparmi nella speranza di un futuro più roseo. Si sposano a Roma, quale coronamento del loro amore in un luogo speciale. Iniziano una vita insieme piena di emozioni.
Il lavoro non manca; lei collaboratrice domestica, lui operaio in una nota industria alimentare. La loro vita scorre felice, accompagnata dai loro amici: la comunità cristiana cingalese. Sono molto uniti, si considerano tutti fratelli, ci si aiuta a vicenda. Insomma, una grande famiglia. Nel 2008 la famiglia si allarga, nasce Desiré, una bambina bellissima con lo sguardo di un angelo. La piccolina è però affetta da distrofia muscolare. Una malattia genetica degenerativa che ha comportato frequenti ricoveri all’ospedale di Borgo Trento. Quando la medicina non dava molta speranza, erano la fiducia e le cure dei genitori ad alimentarla.
L’amore profondo dei genitori di Desiré è stato notato dalla coordinatrice delle infermiere del reparto, proprio nel momento in cui medici, servizi sociali e infermieri si trovavano attorno ad un tavolo a dover scegliere a chi affidare Nicolas, un bambino abbandonato, di appena un anno, anch’esso affetto da una forma di distrofia che comporta un grave deficit respiratorio e cardiaco. Una vita appena iniziata che rischiava di terminare subito. Gli infermieri hanno bussato a molte porte, ma tutte si sono richiuse.
Dopo aver chiesto ad associazioni e istituti, è stato chiesto a loro, ad una famiglia di immigrati cingalesi che ha già sulle spalle una bambina piccola e inferma. L’infermiera pone la domanda e i coniugi, dopo un breve momento di esitazione, rispondono: “Possiamo prenderci un mese per pregare?” Ci hanno riflettuto a lungo, un mese intero in compagnia della comunità cristiana cingalese che li ha accompagnati nella preghiera. Poi la risposta: si. Un si come quello di Maria, ricco di speranza, perché accogliere un bambino così significa accogliere un angelo. Un atto di coraggio certo, ma soprattutto di amore. Uno schiaffo all’idea “rimandiamoli a casa”. Questa famiglia di immigrati è stato un dono per il nostro Paese. Hanno testimoniato quell’amore che ha permesso al piccolo Nicolas di poter vivere in una casa, circondato dall’affetto famigliare, prima di tornare alla casa del Padre.
Liberamente tratto da “Sempre”