I DUEMILA CADAVERI SENZA NOME

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In America li chiamano John Doe se si tratta di uomini, Jane Doe è riferito invece alle donne. Sono i cadaveri non identificati che per anni rimangono negli obitori o vengono seppelliti in una tomba anonima con una croce senza nome. Salme di senza tetto, migranti, anziani scomparsi nell’indifferenza totale: corpi che rimangono in celle frigorifere in attesa di ricevere, forse e chissà quando, una degna sepoltura.

Quasi 2000 corpi anonimi

La relazione del 30 giugno 2016 presentata dal commissario straordinario del Governo per le persone scomparse parla di 1.868 corpi non ancora identificati in Italia, la maggior parte uomini e stranieri. Nei numeri, infatti, sono comprese le vittime dei naufragi nel Mediterraneo, il che porta la Sicilia in cima alle regioni con il maggior numero di cadaveri non identificati: 1.082, dei quali 1.045 appartengono a stranieri recuperati in mare. Segue il Lazio con 203 corpi senza nome, la Lombardia con 115, la Campania con 76, la Puglia con 58.

Il registro

Nel 2007 è stato istituito il “Registro generale dei cadaveri non identificati” il cui aggiornamento è fermo al 30 giugno 2014. Fornisce nei dettagli il sesso del cadavere, il luogo e la data di rinvenimento, l’età presunta, i segni particolari, il vestiario e i monili indossati.

Il “Modello Milano”

In Lombardia da tempo esiste il Labanof, acronimo di Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense, fondato nel 1995 a Milano, vale a dire un archivio online, costantemente aggiornato, dove vengono pubblicati gli identikit di cadaveri ancora anonimi, 5 dei quali risalenti al 1995. Per alcuni casi è stata effettuata una ricostruzione facciale della vittima, per altri è stata pubblicata la fotografia del volto. Solo nella camera mortuaria del capoluogo lombardo ogni anno ne arrivano in media 50. Da maggio 2016 anche a Firenze è stato adottato “il modello Milano” (nel primo semestre dello scorso anno erano 43 i cadaveri senza nome in Toscana) e potrebbe presto essere imitato anche a Roma.

Il protocollo

Dimenticati negli obitori ci sono poi i corpi che nessuno reclama: a Roma è attivo, da oltre undici anni, uno speciale protocollo tra Ama, Comune di Roma, Comunità di Sant’Egidio e Caritas Diocesana per assicurare un funerale e una degna sepoltura alle persone decedute in stato di indigenza o di estrema povertà dopo aver perso ogni legame familiare.

Degna sepoltura

Nel 2016 sono rientrati in questo protocollo 76 funerali (erano stati 70 nel 2015) e, nelle ultime settimane, la Comunità di Sant’Egidio ha chiesto ad Ama di intervenire per dare degna sepoltura a tre persone senza fissa dimora decedute nella Capitale a causa del freddo.
“La gravità di questo fenomeno è ignorata da tanti” spiega Antonio Maria La Scala, presidente dell’associazione “Penelope” che si occupa delle famiglie e dei parenti delle persone scomparse. L’associazione è stata fondata nel 2002 a Potenza su iniziativa di Gildo Claps, fratello di Elisa, uccisa a soli 16 anni nel 1993, il cui cadavere fu ritrovato, dopo quasi 17 anni, nel sottotetto della Chiesa della Santissima Trinità del capoluogo lucano.

Persone scomparse

Per La Scala le realtà delle persone scomparse e dei cadaveri non identificati si intrecciano. Al 30 giugno 2016 le persone scomparse in Italia erano 36.902 (8.492 italiani e 28.410 stranieri). “Io penso che dei circa 9 mila italiani scomparsi il 70% siano morti – prosegue La Scala – Alcuni saranno stati seppelliti senza nome, altri saranno negli obitori, molti non saranno mai più ritrovati. Spesso le cronache raccontano di donne dichiarate scomparse, tra le varie ipotesi si parla di allontanamento volontario, ma poi, anche a distanza di anni, si scopre che si è trattato di omicidio: viene identificato il colpevole ma del corpo nessuna traccia. Basti pensare alle note vicende di Roberta Ragusa, Guerrina Piscaglia, Elena Ceste, Cristina Golinucci, Manuela Teverini, Emanuela Orlandi. L’associazione Penelope si è costituita parte civile in molti processi in corso per femminicidio”.

L’appello

Il presidente La Scala ritiene che, parlando di salme non identificate, bisogna tener “necessariamente” conto anche delle persone sepolte senza nome: un migliaio nel nostro Paese. “Ai cadaveri abbandonati negli obitori va aggiunto un numero indefinito di salme seppellite senza identità – prosegue – Noi chiediamo che cessi questa barbarie: bisogna seppellire con una sigla ogni cadavere non identificato dopo averne prelevato un campione biologico. Questo permetterà, a quanti sono alla ricerca dei propri cari, di compararne il Dna con il proprio, nel caso vengano riscontrate delle affinità. Abbiamo inoltre proposto che il confronto venga fatto a spese dei familiari. Da giugno 2016 è attiva anche nel nostro Paese la banca dati del Dna e abbiamo ottenuto che in essa confluiscano anche i profili genetici dei familiari delle persone scomparse per poter procedere ad un eventuale confronto”.

Roberta Pumpo: