I ciechi che nessuno vede

Logo Interris - I ciechi che nessuno vede

Logo INTERRIS in sostituzione per l'articolo: I ciechi che nessuno vede

“Ho perso la vista eppure camminando riesco a non finire contro nessuno. La gente invece sbatte su di me continuamente, senza porsi il problema, né chiedere scusa, né rispetto. Mi chiedo chi sia cieco veramente”. Massimo racconta la sua storia quotidiana, fatta di mille ostacoli, a volte logistici più spesso culturali. Ma non c’è rabbia nelle sue parole, piuttosto tanta amarezza.

“Quando sono nato non avevo alcun problema – racconta -, ma a due anni e mezzo un’emorragia agli occhi mi ha causato i primi danni visivi. Poi ci fu la storia del vaccino della trivalente, forse non a norma, che mi ha portato persino disagi motori. Ho avuto enormi difficoltà nell’inserimento scolastico e solo pochissimi alunni, negli anni, hanno mantenuto un legame d’amicizia con me”.

Massimo però reagisce, si getta a capofitto nello studio utilizzando macchinari per ipovedenti prima e spartiti in braille dopo; dà corpo alla passione ereditata dal nonno, la musica, diplomandosi in clarinetto al conservatorio romano di Santa Cecilia. Nel ’92 comincia a lavorare come centralinista al comune di Roma e, dopo i compagni di classe, anche il microcosmo dell’ufficio lo isola: “Manca l’educazione e la conoscenza dei problemi da parte delle persone normodotate; credono che finché a loro gira tutto bene non hanno bisogno di contaminare la propria esistenza coi problemi degli altri”.

Su circa 400 colleghi del municipio – racconta – soli in tre gli rivolgono il saluto la mattina. Incontro questa indifferenza anche quando cammino per strada, con le mie due stampelle o con la persona che mi accompagna. Mentre mi avvicino alla gente sento le voci e riconosco molti vicini di casa. Ma non appena arrivo a due metri da loro piomba il silenzio tra il gruppo prima così loquace”. Un racconto che diventa uno schiaffo per coloro che emarginano chi cerca di condurre una vita normale nonostante l’handicap.

“Sono stufo anche di camminare, rischiando di finire a terra ogni volta, perché le persone sono troppo impegnate a contemplare le vetrine dei negozi o il proprio smartphone, e spesso mi centrano in pieno senza neanche scusarsi”. Dal 2004 Massimo vive completamente solo: prima perde la madre Lea nel’93, malata di alzheimer, mentre nel 2004 suo padre muore a causa di un tumore. “Quando ho capito che se non ero io a relazionarmi con gli altri nessuno mi parlava, sono entrato in uno stato di totale abbandono; la solitudine è stata la mia compagna di viaggio”.

Si deve cambiare la cultura nella testa delle persone e l’Unione Europea in questo senso sta facendo passi importanti: Berlino ad esempio ha lanciato l’iniziativa “Una città per tutti” con l’obiettivo di ricostruire l’ambiente urbano su misura delle persone portatrici di handicap. La stazione centrale della capitale tedesca è stata ristrutturata ed ora dispone di 30 ascensori con annunci vocali e percorsi con segnalazioni a terra per i disabili civili. Purtroppo l’esempio tedesco è solo un’eccezione che deve fare i conti con una diffusa indifferenza della politica su queste delicate tematiche. Eppure il problema riguarda moltissime persone: nel mondo infatti “ci sono 285 milioni di disabili visivi, di cui 39 milioni non vedenti e 246 milioni ipovedenti. In Europa, poi, il 50% circa dei casi di ipovisione potrebbe essere evitato se si attivassero interventi precoci e più mirati”, spiega Giuseppe Castronovo, presidente della Iapb Italia onlus, in occasione di uno studio condotto da Deloitte Access Economics e presentato a Roma dal Forum europeo contro la cecità (Efab). Solo in Italia sono 350 mila.

A volte il dover trovare una soluzione quando non si hanno alternative ti spinge ad ingranare quella marcia in più che non pensavi di avere. Massimo, con tutte le sue difficoltà, continua a sorridere alla vita perché sa che il suo problema l’ha cambiato profondamente ma allo stesso tempo gli ha insegnato ad essere un uomo forte e autonomo: “Il vero cieco non sono io ma tutte quelle persone che vogliono vedere ciò che a loro fa più comodo non rendendosi conto che, aiutare chi ha bisogno, può riempirti di una linfa vitale che va oltre l’immaginabile”.

 

Davide Chiossi: