Era il 1990. Laura aveva 5 anni ed era in vacanza con la famiglia alla casa āMadonna delle Vetteā di Alba di Canazei. Ā«In quellāoccasione ā scrive suo papĆ Francesco ad introduzione del libro da poco edito da Sempre ā Laura ĆØ stata per la prima volta, ed ultima, chierichetta. Infatti allāinizio della Celebrazione don Oreste Benzi, fondatore della ComunitĆ , ha chiamato tutti i bambini presenti che volessero andare intorno a lui, Celebrante, sullāaltare e Laura cāĆØ andata, accompagnata, e si ĆØ seduta sul gradino dellāaltare per servireā¦ insieme agli altri bambiniĀ». Unāesperienza straordinaria per una bambina straordinaria che proprio non ne voleva sapere di vivere la disabilitĆ come un limite, qualcosa di cui vergognarsi.
E allora via in lunghi viaggi per lāEuropa con mamma e papĆ , a fare le corse con i cugini, la scuola, la riabilitazione, grandi sogni sportivi.
Ā«La disabilitĆ ĆØ una delle tante cose che ti possono capitare nella vita. Hai due possibilitĆ : o ti chiudi in casa o esci e affronti la vitaĀ». Laura ci dĆ appuntamento alla fermata metro di Porta Furba. Ā«Prendete lāuscita a destraĀ» ci scrive. Ā«Come destra? Ma non sei del Pd?Ā» ironizzo io. Ā«Ć la grande coalizioneĀ» risponde lei su Whatsapp, seguito da una valanga di faccine che piangono dalle risate. Laura ĆØ simpatica, ci aspetta per mano di suo marito. Ā«Vedi ā dice ā noi due insieme facciamo āilāĀ» alludendo alla notevole statura di lui. Cominciamo bene. Lāafosa giornata romana ci costringe a rifugiarci in posticino carino con lāaria condizionata. Ā«Poi magari mangiamo insieme, ok?Ā». Cominciamo molto bene.
Ci dici in due parole chi ĆØ Laura Coccia?
Ā«Sono Laura, parlamentare da circa due anni, ma prima di essere parlamentare sono una donna, una ragazza disabile, in continua ricerca di confronto con gli altri perchĆ© ho scoperto dalla mia vita che dagli altri cāĆØ sempre da imparareĀ».
E gli altri che cosa imparano da te?
Ā«Imparano che ādisabileā ĆØ solamente un aggettivo che qualifica una persona esattamente come alto o basso o magro o nero o biancoĀ».
Disabile e donna. Che vuol dire?
Ā«Essere disabile e donna non ĆØ facile, soprattutto in un mondo che proietta lāimmagine della donna come assoluta perfezione e meraviglia. Non rispondere a questi canoni ĆØ un problema in piĆ¹ per le donne disabili. Credo che una donna sappia trovare allāinterno di se stessa le sue parti migliori per affrontare la vita con carattere e con grintaĀ».
Da dove ti arriva questa convinzione dellāapprendimento reciproco?
Ā«Nel mio percorso di vita ho imparato ad osservare gli altri e a prendere tutto il buono che ci poteva essere.Ā I 5 anni di elementari che ho passato āin un angoloā sono stati una grande opportunitĆ (naturalmente ĆØ unāanalisi che faccio adesso, da persona adulta). In una societĆ frenetica come la nostra, avere la possibilitĆ di osservare, osservare in silenzio, ti dĆ una prospettiva completamente diversa. Devi avere il tempo di relazionarti con te stessa. CosƬ ho cominciato ad osservare come gli altri camminavano e si muovevano, e da lƬ ho provato a farlo āa modo mioāĀ».
E dal camminare alle piste di atletica come ci sei passata?
Ā«Alle medie, quando Gianni ā il professore di educazione fisica ā mi costrinse a cambiare lāapproccio al quale ero stata abituata alle elementari e mi disse: āAdesso tu devi fare quello che fanno gli altriāĀ».
Leggendo il libro che ha scritto tuo padre sembra che tu sia nata sulle pisteā¦
Ā«La passione per correre lāho sempre avuta. Lo facevo con i miei genitori, o con i miei cugini, era una mia voglia di libertĆ . Il mio problema ĆØ stato che per cinque anni hanno cercato di spiegarmi che ciĆ² che io sognavo ā le olimpiadi ā non era possibile. Mi hanno anche mandato dallo psicologo. Le maestre erano convinte che i miei genitori mi stessero educando male, che non mi aiutassero ad accettare la mia disabilitĆ Ā».
Oltre che dalla disabilitĆ il percorso sportivo ā ho letto ā ĆØ stato segnato da molti ostacoli e anche delusioni (per esempio lāeliminazione della tua categoria specifica, per la quale ti eri molto allenata). Dove hai trovato lāenergia per andare sempre avanti?
Ā«Ci sono delle passioni che sono piĆ¹ forti di qualunque cosa. La corsa ĆØ una di queste. Sapevo che stavo facendo una cosa importante, che stavo dando un esempio alle persone che correvano con me. E questo ĆØ al di sopra della vittoria del singolo, dei risultati che ottengo. Risultati che comunque ci sono stati: ho vinto una trentina di titoli italiani, ho avuto la possibilitĆ di andare agli europeiĀ».
CosāĆØ che ti abbatte, ti deprime?
Ā«La stupiditĆ e la superficialitĆ . Quando leggo storie di chi non riesce a capire che la disabilitĆ non puĆ² essere una colpa da scontare. La societĆ deve aiutare le famiglie a capire che ā anche laddove la disabilitĆ fosse un problema ā sicuramente non puĆ² essere un problema del singolo, ma di tutta la collettivitĆ . La scuola in particolare non puĆ² avere un atteggiamento respingenteĀ».
E la famiglia?
Ā«Per una famiglia la diagnosi ĆØ destabilizzante. Io ho avuto la fortuna che i miei genitori ā per un amore particolare, per la storia che cāĆØ prima della mia nascita ā sono riusciti a stare uniti. Ma non ĆØ semplice gestire il senso di colpa, le tensioni che si creano allāinterno di una coppia, il prendere coscienza che sarĆ per tutta la vitaĀ».
E come si fa ad attraversare questa fatica?
Ā«Un messaggio che deve arrivare forte ĆØ che non esiste la persona incapace. Anche nella disabilitĆ piĆ¹ grave ci sarĆ sempre la capacitĆ di fare qualcosa. SarĆ un movimento, un sorriso, che ĆØ una capacitĆ da donare agli altri. Sono talenti da sviluppare. Io ho trovato il mio modo di correre, che non ĆØ quello di Bolt, ma ĆØ mio, ed io il traguardo lo raggiungo lo stesso, a modo mioĀ».
Sport, scuola, recentemente ti occupi anche di carcere.
Ā«Ho sempre seguito il tema e da quando sono in parlamento sento di dover rappresentare anche quelli che sono in carcere. Anche se non hanno diritto di voto hanno diritto di essere rappresentati. Mi turba molto lāidea dei bambini che sono in carcere e la realtĆ del sovraffollamento. āPossedere solo il perimetro del materassoā ĆØ un concetto pesante, ma non abbastanza pesante come quando lo vedi, e capisci come i detenuti stanno, e perchĆ© muoiono, perchĆ© si suicidano nei modi peggioriĀ».
Vedere da vicino quindi. E lo scopo?
Ā«Quando avvicini i detenuti, li conosci, capisci che sono persone con sentimenti, una storia. Dietro ogni storia ci sono le persone. Certo, sono persone che hanno sbagliato, ma sta a noi creare le condizioni affinchĆ© la recidiva non esista. Vengono da situazioni sociali e familiari disastrose, e il compito nostro ĆØ quello di far conoscere che ci sono anche modalitĆ diverse di affrontare la vita, perchĆ© se uno non lo sa non le puĆ² nemmeno scegliere. Certo, non ĆØ facile, nulla ĆØ facile, ma se qualcuno fa vedere e suggerisce loro uno stile di vita differente almeno possono scegliere, quindi sono piĆ¹ liberi. Alle nuove generazioni dobbiamo dare la possibilitĆ di cambiare vitaĀ».
Il tuo rapporto con la fede?
Ā«Sono cresciuta in una famiglia cattolica. Sono una cattolica praticante e ā come diceva Madre Teresa ā mi sento uno strumento nelle mani di DioĀ».
Quali aspetti del Vangelo in particolare ti orientano la vita?
Ā«Due aspetti: il primo ĆØ la parabola dei talenti. Ognuno deve mettere a frutto quello che ha ricevuto, non puĆ² far finta di non averlo. Abbiamo ricevuto dei doni e li dobbiamo mettere a servizio di tutti. Se tu hai ricevuto un dono cosƬ bello, come per me la capacitĆ di superare la disabilitĆ , perchĆ© lo devo tenere per me? Non ĆØ giusto per le nuove generazioni, non ĆØ giusto per i genitori che devono affrontare la disabilitĆ . Ć un peccato mortale. Poi: la pietra scartata dai costruttori ĆØ divenuta testata dāangolo. Chiunque, anche se la societĆ lo emargina, ha il dovere di prendere in mano la propria vita e di costruire il proprio futuroĀ».
E GesĆ¹? Quali sono i suoi tratti che piĆ¹ ti affascinano?
Ā«Il silenzio. Lo trovo molto affascinante. Poi la capacitĆ di accettare tutto. Che non ĆØ accettare passivamente, ma affrontare la sua vita e il suo destino. āPrendi la tua croce e seguimiā. Me lo sono sempre immaginato alla testa di una grande folla di persone. Poi la sua capacitĆ di stare con tutti, ricchi e poveri, uomini e donne. Con tutti, anche con gli ultimi. E morire da solo, vivendo il suo rapporto con la preghiera e con quel Dio Padre che lo stava chiamandoĀ».
Pubblicato dalla rivista Sempre, settembre 2015
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