E’ già accaduto quando, nell’era berlusconiana, lo spread salì a 500 punti. L’Italia andò in crisi, il debito pubblico schizzò oltre il già pesante fardello che si portava dietro, il Paese fu contagiato. Arrivò persino la deflazione, vista la scarsità di denaro nelle tasche delle famiglie. Negozi e aziende, le cosiddette piccole e medie imprese, caddero come birilli. Più di qualcuno si suicidò, in tanti finirono disoccupati.
Lo scenario più cupo, in un momento in cui molto faticosamente e con estrema fragilità il Belpaese prova a rialzare la testa, potrebbe riproporsi. Sì, perché ad avere paura se la Grecia dovesse andare il default non sono le banche e nemmeno lo Stato in quanto tale. Ma come al solito a pagare dazio saranno direttamente i cittadini. E non chiamatelo “populismo”, è un dato reale; vediamo perché.
Per l’Italia nel suo complesso, in caso di fallimento greco l’impatto sarà equivalente all’esposizione del Paese verso Atene, che è di circa 65 miliardi. Una cifra che da sola potrebbe spaventare, ma fa meno effetto parametrata aI totale del debito italiano che è di 2.194,5 miliardi di euro, registrato ad aprile dalla Banca d’Italia.
Un credito che si articola così: 23,3 miliardi concessi attraverso il fondo salva-Stati (Efsf – Esm 14,2 miliardi) e 10 miliardi erogati al governo greco attraverso la formula dei prestiti bilaterali. Sono poi da aggiungere i fondi elargiti al governo ellenico dalla Banca centrale europea a cui l’Italia partecipa con un’esposizione di circa 6,6 miliardi di euro: l’Istituto di via Nazionale potrebbe quindi perdere quasi 11 miliardi della quota della linea di liquidità Ela.
Impatto molto contenuto anche per le banche italiane, la cui esposizione, come ha riferito il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, è di circa 800 milioni di euro su un debito complessivo di circa 315 miliardi. In caso di Grexit, sarebbe l’intera Unione europea a risentirne, dato che detiene il 44% del debito pubblico greco attraverso il meccanismo europeo di stabilità, suddiviso tra i vari Stati membri. Ma di quella torta l’Italia possiede solo il 18%.
Pochi problemi anche per i mutui, almeno all’inizio. Lo scudo protettivo della Banca centrale europea dovrebbe tenere i parametri sotto controllo, anche considerato il fatto che gli indici Euribor e Irs sono ai minimi storici. Se lo spread tornasse ad impennarsi, allora certamente ne risentirebbero anche i mutui, ma difficilmente il valore supererà i 200 punti, stante le manovre di contenimento effettuate dai governi negli anni precedenti e gli strumenti finanziari oggi a disposizione dell’Europa.
Chi pagherà dunque la crisi, se Grexit diventasse realtà? Tutte le aziende italiane – e sono molte – che aspettano di essere pagate per le commesse fornite. Siamo tra i principali fornitori di macchine utensili per tutta l’industria agroalimentare ellenica. Il rischio è che, una volta saltato il sistema, non ci sia modo di recuperare un euro. Uno schiaffo ai piccoli imprenditori, che pagano gli errori (a volte gli orrori) degli altri.
Certo, l’export verso la Grecia è già calato negli ultimi tempi, vista la situazione generale; ma siamo pur sempre protagonisti di quella fetta di mercato che rischia di essere spazzato via dal referendum di domenica. Non solo agroalimentare, ma anche edile, seppur in maniera contenuta.
Il cerino rischia dunque di restare in mano alle Pmi, ancora una volta. E produrre – a cascata – nuovamente effetti pesanti sull’economia reale italiana. Alla lunga, il monito “dopo la Grecia toccherà all’Italia” potrebbe trasformarsi in realtà.