La regolamentazione delle unioni di fatto rappresenta una esigenza particolarmente sentita, in quanto, a fronte di una tradizione culturale in cui famiglia e matrimonio coincidono, ormai da tempo si devono riconoscere modelli familiari alternativi, espressioni di scelte di autonomia e libertà, ispirati da un progetto non vincolante di solidarietà reciproca. Ma pervenire ad un completo pareggiamento tra la convivenza “more uxorio” ed il matrimonio, contrastante con la stessa volontà degli interessati che hanno liberamente scelto di non vincolarsi, proprio per evitare, in tutto o in parte, le conseguenze legali che discendono dal rapporto di coniugio, non è certamente la soluzione a cui si intende arrivare. Il nostro sistema già garantisce tutele alle unioni parafamiliari.
Pur in assenza di una legge organica sulla convivenza non fondata sul matrimonio, il legislatore nazionale non ha mancato di disciplinare settori di specifica rilevanza della stessa: si pensi all’art. 199 c.p.p., che consente la facoltà di astenersi dal deporre al convivente dell’imputato; agli artt. 342 bis e 343 ter c.c., introdotti dalla legge 4 aprile 2001, n. 154, sull’estensione al convivente degli ordini di protezione contro gli abusi familiari; alla legge 4 maggio 1983, n. 184, art. 6, come sostituito ad opera della legge 28 marzo 2001, n. 149, per gli effetti della convivenza precedente al matrimonio sulla stabilità del vincolo ai fini dell’adozione; alla legge n. 392 del 1978, che consente la successione del convivente al de cuius nel rapporto di locazione; all’art. 408 c.c., come novellato dalla legge 9 gennaio 1994, n. 6, per la scelta dell’amministrazione di sostegno, che può cadere anche sulla persona stabilmente convivente; al d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, art. 129, in tema di soggetti che non possono essere considerati terzi e che non hanno diritto ai benefici derivanti dall’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, limitatamente ai danni alle cose; all’art. 317 bis c.c. che attribuisce ai genitori naturali conviventi l’esercizio congiunto della responsabilità genitoriale sui figli.
L’ambito della tutela dei conviventi è stato ampliato dalla giurisprudenza di legittimità e di merito. Ad esempio, la Suprema Corte ha escluso il diritto del convivente alla restituzione di eventuali attribuzioni patrimoniali effettuate nel corso della convivenza a favore del compagno (Cass. civ., Sez.III, 15 maggio 2009, n.11330), anche se utilizzate dal convivente per l’acquisto di un immobile in comunione con l’altro partner per quote uguali, pur avendo sborsato l’intero prezzo per l’acquisto (Cass. sez. II, 25 marzo 2013, n. 7480); ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale per la morte del convivente provocata da un terzo (Sez. III, 28 marzo 1994, n. 2988; Sez. III, 16 settembre 2008, n. 23725); ha dato rilevanza alla convivenza intrapresa dal coniuge separato o divorziato ai fini dell’assegno di mantenimento o quello di divorzio (Cass., Sez. I, 12 marzo 2012, n.3923); ha consentito al convivente non proprietario, in caso di estromissione violenta o clandestina dalla unità abitativa, compiuta dal convivente proprietario, di esercitare l’azione possessoria (Cass., Sez. II, 21 marzo 2013, n. 7214); ha anche stabilito che in tema di affido condiviso, la convivenza omosessuale di un genitore non può costituire ex se un ostacolo all’affidamento dei figli al medesimo genitore, in quanto le condotte di quest’ultimo vanno apprezzate concretamente, in virtù della loro effettiva idoneità a costituire fonte di nocumento per il minore (Cass., Sez. I.,11 gennaio 2013, n.601).
Inoltre, i conviventi possono liberamente regolamentare i loro rapporti patrimoniali attraverso gli istituti del diritto civile e gli accordi di convivenza. L’opzione compiuta dalle parti attraverso il rifiuto opposto all’istituzione matrimoniale ed alle norme che la regolamentano, determina come inevitabile conseguenza la contemporanea abdicazione alle garanzie normativamente previste che riguardano la disciplina del rapporto in corso e la fase patologica dello stesso. Esiste una zona franca, dove il legislatore e il giudice cautamente intervengono, nel cui ambito la regolamentazione di rapporti personalissimi affidati, per scelta, solo alle regole dell’amore, è lasciata alla libera determinazione delle parti.
Annamaria Fasano
Magistrato, Ufficio Massimario presso la Suprema Corte di Cassazione