“I dati sul gioco d’azzardo di Nomisma sono allarmanti. Fondamentale sarà mettere un freno agli spot in tv, soprattutto nel prime time, ovvero in quella fascia televisiva più sensibile e maggiormente ambita dagli inserzionisti. Purtroppo se ne è parlato molto ma non si è fatto niente”. Lo afferma il presidente dell’associazione di telespettatori cattolici Aiart, Luca Borgomeo, a pochi giorni di distanza dal “nulla di fatto” del Governo in materia di giochi. “Quanti bambini, ragazzi sono davanti la Tv alle ore 20? Tantissimi. È giusto bombardarli con spot che incitano a giocare? No – continua Borgomeo -. Tra l’altro, si tratta di spot che violano la legge, visto che raramente indicano le probabilità di vincita”.
Secondo l’indagine di Nomisma, svolta in collaborazione con l’università di Bologna, oltre la metà dei ragazzi italiani ha provato il gioco d’azzardo almeno una volta nell’ultimo anno scolastico: il 54% degli studenti tra i 14 e i 19 anni – vale a dire 1,3 milioni di giovani delle scuole superiori – ha provato a grattare una cartella del gratta&vinci o ha fatto scommesse sportive. Di questo milione di ragazzi, il 74% ha dichiarato di spendere meno di tre euro alla settimana in giochi d’azzardo, circa un quarto dell’intera “paghetta”. Una cifra, dunque, già importante. Dalla ricerca, intitolata “Young millennials monitor”, risulta inoltre che ad oggi il 10% degli studenti è un “frequent player”, gioca cioè almeno una volta alla settimana, e che il 29% ha nascosto o ridimensionato la propria abitudine coi genitori. A complicare la situazione, l’associazione del gioco con il consumo di alcoolici.
Uno scenario inquietante che non ha lasciato indifferenti le numerose realtà e associazioni che combattono da anni contro la legalizzazione delle scommesse, un introito che ha portato nelle casse dello Stato e dei diversi enti beneficiari la ragguardevole cifra di 84 miliardi e mezzo di euro solo nel 2014. Il costo sociale in termini di dipendenze e ludopatia, anche tra gli under 18, è però salatissimo. A conti fatti, anche in fatto d’azzardo “il gioco non vale la candela”.