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FA’FAFINE, IL GENDER DIVENTA UNO SHOW PER BAMBINI

Sono in circolazione attualmente in Italia numerosi prodotti artistici e letterari che propagandano le idee sostenute dalle associazioni Lgbt in materia di costruzione sociale e culturale dell’identità di genere e in materia di affettività e amore umano. Si tratta di prodotti molto diversi tra loro per genere e qualità, che richiedono un’attenta valutazione estetica e pedagogica, specialmente laddove la loro diffusione dipende direttamente da finanziamenti pubblici.

Cultura ed educazione

Queste considerazioni non riguardano, tuttavia, la sola sfera economica, ma anche, innanzi tutto, quella culturale ed educativa. Gran parte dei testi e dei prodotti multimediali, come anche gran parte delle opere artistiche e degli spettacoli, appare discutibile dal punto di vista della qualità intrinseca e, seppure, certamente, bisogna riconoscere agli autori ed agli esecutori la piena libertà d’espressione, l’atteggiamento critico per quanto concerne l’opportunità di avvelersene in ambito educativo e scolastico deve essere esercitato altrettanto liberamente.

Lo spettacolo

Queste considerazioni valgono soprattutto quando, sia pure per ragioni “artistiche”, si alterano i contorni della realtà e della verità, come nel caso dello spettacolo teatrale Fa’afafine – Mi chiamo Alex e sono un dinosauro, in cui si mette in scena la storia di un ragazzo gravemente incompreso dai suoi genitori e dai suoi compagni di scuola per le sue incertezze sulla propria identità sessuale. La presentazione dello spettacolo sottolinea, peraltro, che il protagonista vuole sentirsi maschio un giorno, e femmina il successivo, e magari entrambi contemporaneamente). Ad un certo punto, venendo a sapere che nelle isole Samoa esistono persone come lui, chiamate, appunto, “Fa’afafine”, sogna di trasferirsi là, per coltivare il progetto di “sposarsi”.

La critica

A questo spettacolo teatrale è possibile muovere alcune critiche di fondo. Il fatto che abbia ricevuto un premio nell’ambito di una rassegna promossa da un’associazione di enti teatrali, alcuni dei quali prestigiosi e fino al 2007 con il sostegno dell’Ente Teatrale Italiano (anche se ora l’Ente non sostiene più la manifestazione), non impedisce di sollevare questioni che sono fondamentali per il suo “impiego” nel contesto educativo e scolastico.

Lo spettacolo si regge fin dal titolo sull’ipotesi che vi sia un paese ed un popolo in cui i costumi sessuali sono molto diversi da quelli diffusi in Occidente. In realtà, su una popolazione di 250000 samoani, coloro che si dichiarano “Fa’ afafine” sembra siano soltanto poche centinaia e non sembrano godere di uno status sociale paragonabile a quello riconosciuto in Occidente alle persone coniugate.

Uno degli argomenti che i sostenitori di diritti civili specifici per le persone omosessuali usano per suffragare le loro idee è che esistono eccezioni sia in natura sia nella vita sociale alla “tradizionale” distinzione tra maschi e femmine. Per quanto si possa sempre sostenere che le eccezioni, di norma, confermano le regole, piuttosto che smentirle, in questo caso sembra che l’eccezione presunta sia stata alquanto ingigantita rispetto alla sua reale consistenza.

Lontani dalla realtà

È vero, peraltro, che i cosiddetti “Fa’afafine” fanno parte di “famiglie”, ma la concezione della famiglia samoana è molto “larga” e non si basa soltanto su legami di sangue o affettivi, ma anche di funzione economica, lavorativa, ecc. Se si aggiunge che i contorni alterati della figura del “Fa’afafine” illudono il protagonista e propongono agli spettatori una situazione sociale che non esiste, è quasi d’obbligo concludere che il testo e lo spettacolo, al di là dei pregi artistici, non abbiano alcuna validità educativa. Certamente, sono condivisi da tutti i fini di integrazione equilibrata nella società delle persone con un orientamento sessuale diverso da quello “naturale”; ma lo spettacolo sottolinea continuamente, ed anche retoricamente, la sofferenza del protagonista per le incomprensioni dei genitori, e dispiace rilevare che anche in questo caso, come in molti altri, sembra essere rappresentata una caricatura grottesca della famiglia, che non corrisponde allo spessore, talvolta addirittura drammatico, della vita reale.

Le scene che rappresentano i genitori di Alex, che impediscono al figlio di mettersi le scarpe della mamma, o di farlo uscire vestito da donna, sono una ingenerosa mistificazione del dramma che vivono molti genitori in queste situazioni, non per “omofobia”, né per i pregiudizi di una costruzione socio-culturale discriminante, ma per una sofferenza profonda e pienamente comprensibile in loro, ed evocano un clima di incomprensione e di scontro intergenerazionale che non contribuisce a comprendere la situazione ed il problema specifici, né, in genere, porta alcun frutto sul piano educativo.

Soprattutto, appare profondamente squilibrata l’idea di partenza dello spettacolo: mettere in scena un essere umano, in formazione e nella fase più delicata della sua crescita, che vuole essere maschio o femmina a giorni alterni, o entrambi contemporaneamente. Si tratta di una finzione scenica del tutto fuorviante, che non corrisponde nemmeno alla realtà delle persone Lgbt e rispetto alla quale bambini di 9 anni – ai quali lo spettacolo già vuole rivolgersi –, ma anche molti adolescenti, non hanno alcuno strumento di confronto con la realtà, nemmeno per comprendere che si tratta di una forzatura retorica ricercata dagli autori per sottolineare l’elemento intenzionale presente nella formazione dell’identità sessuale.

Il dramma

Nel tentativo di rendere attraente, o almeno accettabile, l’orientamento omosessuale, i sostenitori di questa tendenza cercano di presentare scene di vita ordinaria all’insegna del buon umore e dell’armonia, tanto nel caso delle cosiddette famiglie “omogenitoriali”, quanto a proposito della storia dello sviluppo personale. La realtà è ben diversa e sembra che sia stato completamente ripudiato l’elemento drammatico insito in tanti esempi di formazione omosessuale. Non è un caso, a questo riguardo, che i prodotti letterari e artistici a cui si fa riferimento in questa nota siano quasi del tutto privi di riferimenti alle grandi figure dell’arte e della letteratura di orientamento omosessuale, che hanno vissuto la propria condizione con uno spiccato senso del dramma interiore che stavano vivendo e che costituì una parte cospicua della loro grandezza di scrittori e di artisti (ciò vale per gli stessi Pasolini e Mieli, tanto sbandierati come precursori e capifila).

Un certo “meccanicismo” fatalistico domina, invece, nei prodotti contemporanei, finendo in un’evidente contraddizione: da un lato, si sostiene che l’orientamento omosessuale sia frutto di una scelta libera che la società deve mantenere libera e riconoscere come legittima; dall’altro, si avvalora l’idea che l’orientamento omosessuale sia alcunché di congenito o di insito nel destino dell’individuo.

Incoerenza

La mancanza di chiarezza e di coerenza sul piano scientifico di entrambe queste posizioni è ben conosciuta e non richiede qui di essere ulteriormente illustrata; è evidente dalle ricerche condotte con rigore metodologico che l’orientamento sessuale si sviluppa sulla base del patrimonio genetico e della cultura diffusa nella società d’appartenenza. A questo proposito è significativo sottolineare un particolare aspetto dell’orientamento sessuale che mostra quanto siano fuorvianti spettacoli come quello in parola.

L’identità sessuale

L’identità sessuale è basata, infatti, sulla polarità maschile-femminile. Quanto questa polarità sia profondamente radicata nella persona (quindi, non praticabile “a giorni alterni” o contemporaneamente) è affermato dalla stessa letteratura femminista, ed è su questa polarità che sono state fondate le battaglie femministe di tutta la seconda metà dello scorso secolo. All’interno del movimento Lgbt si è sviluppata una dialettica a tratti esplosiva intorno al fenomeno del cosiddetto “transgenderismo”-”transessualismo”, rifiutato all’interno di quello stesso movimento per la sua infondatezza ed incompatibilità con la visione del maschile e del femminile sempre sostenuta dalle femministe di “prima” e “seconda” generazione (come usano dire gli storici del femminismo). È per questo motivo che si deve usare molta prudenza nella diffusione di queste teorie in ambito pedagogico; esse sono infondate di fatto e costituiscono il terreno di una serrata dialettica all’interno dello stesso movimento Lgbt. Lo spettacolo teatrale Fa’afafine si inserisce pienamente in questa dialettica, addirittura banalizzandola per strappare qualche facile consenso tra spettatori troppo giovani per comprendere criticamente e per ragionare “con la propria testa”.

I rischi

Se uno degli obiettivi principali dell’educazione è, infatti, il pensiero critico, gran parte della letteratura e delle iniziative Lgbt in atto dovrebbe essere cassata come inadatta o addirittura deleteria; a parte il fatto che è già disponibile e conosciuta un’ampia casistica di situazioni in cui i bambini e gli adolescenti coinvolti in progetti ispirati da quelle organizzazioni si sono visti spingere ad abbracciare le idee di chi li ha realizzati senza alcuno spazio di confronto e di discussione paritetica, la struttura stessa dei prodotti e delle iniziative realizzate non sembra contemplare alcuna metodologia di confronto critico tra opinioni diverse.

Per esempio, nel caso di uno spettacolo teatrale, sarebbe auspicabile che alla rappresentazione seguisse un ampio dibattito, mentre tutto si riduce ad un indottrinamento basato sulle opinioni degli autori o dei responsabili di progetto, date per verità acquisite che non si possono mettere in dubbio e che non possono essere smentite se non da “omofobi”. L’obiettivo del contrasto alle discriminazioni, che trova tutti assolutamente d’accordo, merita ben altro spirito e ben altri strumenti metodologici.

In definitiva, la gran parte di queste iniziative, di cui Fa’afafine è un esempio significativo, rischia di minare le finalità fondamentali dell’educazione scolastica a causa della mancanza di chiarezza nella presentazione scientifica delle idee presentate, della forma evidentemente inappropriata in cui sono solitamente presentate, dello scarso impegno dei responsabili nella cura e nel coinvolgimento delle famiglie, del clima di chiusura ideologica che anima queste iniziative.

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