Ventiquattro anni, una vita davanti e un solo desiderio: morire. Voglia che inizia a prendere corpo, quando Anna (nome di fantasia per la protagonista della vicenda) ha incontrato in una clinica Giorgia (altro nome di fantasia), che stava organizzando la propria eutanasia. Colpita da quel tentativo Anna comincia a pensare di usare questo strumento per morire. Eh già, perché in Belgio, il 16 maggio del 2002 la Camera dei Deputati ha approvato la legge sull’eutanasia che non vuole solo staccare la spina ai malati terminali, ma afferma di voler seguire il diritto dell’essere umano, come suprema affermazione di libertà e autonomia. Per questo il paziente può richiedere volontariamente l’interruzione della propria vita grazie all’eutanasia o suicidio assistito quando la sua sofferenza diventa insopportabile e non suscettibile in alcun modo di essere alleviata. In questo caso siamo in Belgio, ma leggi analoghe ci sono anche in Olanda e in gran parte dei Paesi del nord Europa. Anna è perfettamente sana, non è attaccata a nessuna macchina che l’aiuta a respirare: soffre di depressione. Ma la legge fa riferimento anche alla sofferenza psicologica.
La storia di Anna è sicuramente terribile. Il padre, alcolista e violento, ha spaccato la famiglia da quando lei era piccola. Dopo la separazione dei genitori, ha passato più tempo con i nonni e dice che è da allora che ha iniziato a pensare al suicidio. Durante l’intervista al giornale belga De Morgen, Anna parla “in modo calmo e tranquillo, è sicura di se”. Afferma che la sua scelta però non dipende dalle sue vicende familiari, dice infatti di essere “convinta che avrei avuto questo desiderio di morire anche se fossi cresciuta in una famiglia tranquilla e stabile. Semplice, non ho mai voluto vivere”.
Sui banchi di scuola, Anna fa fatica. Quando torna a casa, di nascosto è autolesionista, si taglia, si scaglia con violenza contro i muri. Pensa spesso al suicidio, ma non lo fa mai. Forse le manca il coraggio, o forse ha trovato un’ancora nel “teatro”, attività che la appassiona tanto da farle dimenticare ciò che sente dentro e una “relazione amorosa” con un’altra ragazza, che lei definisce “davvero piacevole”. Ma questo non basta a darle una stabilità: a causa delle continue depressioni, Anna rompe ogni legame e si fa convincere a entrare in una clinica psichiatrica. Qua inizia una fase ancora peggiore, tutto sembra più “difficile”, probabilmente perché le cure asettiche di una clinica non possono sostituire gli affetti, il sentirsi amata. I corridoi bianchi non possono sostituire quel luogo di “confort zone” che è la “casa”. In questa fase Anna inizia a pensare di avere dentro di sì un “mostro” che chiede di uscire, fonte di “aggressività, collera e dolore”, e che “niente può guarire”. I farmaci non bastano per curarla, anzi peggiorano le cose e spesso i medici rimandano a casa la ragazza per permettere al personale “di respirare un po’”.
È in questo momento appunto, che decide di optare per il suicidio assistito, su indicazione di Giorgia. Tre diversi medici, di cui uno appartenente a una famosa associazione pro eutanasia, le danno ragione: dal punto di vista psicologico, soffre in modo insopportabile e quindi deve poter morire quando vuole. Non importa se, nonostante le grandi sofferenze, non abbia mai tentato davvero il suicidio, cercando appigli in altre cose. Per quanto riguarda la capacità di prendere in maniera lucida una simile decisione, nessun dubbio secondo i dottori: “È una persona equilibrata”. Poco importa che sia rinchiusa in una clinica psichiatrica perché incapace di vivere la sua vita fuori e sia tenuta sotto farmaci. Uno schiaffo a tutte quelle istituzioni che dovrebbero tutelare la vita per impedire che una ragazza venga schiacciata in questo modo da un male invisibile. Forse è più semplice eliminare il problema invece di affrontarlo e offrire i mezzi per risolverlo.
Lei spiega: “da quando sono nata la mia vita è una battaglia. Quotidiana. Certi giorni mi trascino secondo dopo secondo. I miei 24 anni, quindi, sono stati un’eternità”. Entro la fine dell’estate, Anna potrà morire come richiesto e concesso dalla legge. Nel frattempo, sta organizzando tutto: lo studio dove morirà fisicamente, i suoi funerali, la bara. “Sono tutte cose piacevoli a cui pensare”. Perché dopo non ci sarà più niente.