In alcuni Paesi del pianeta è già possibile uccidere i bambini. Un orrore protetto da leggi definite civili, che potrebbe dilagare in altre parti del mondo. Come in Canada, dove un membro dell’Unicef, l’organismo sussidiario delle Nazioni Unite per la tutela dell’infanzia e la promozione dei diritti di bambini e adolescenti nel mondo, al fine anche di contribuire al miglioramento delle loro condizioni di vita, ha compiuto un atto contro i suoi stessi principi. Questi ha invocato l’eutanasia per i bambini. “L’aiuto medico a morire è stato previsto per gli adulti competenti. Sorge spontanea la domanda: perché non per gli altri gruppi di persone come i minori maturi?”, ha domandato Marvin Bernstein, avvocato filantropo e Chief Policy Advisor di Unicef Canada, in Commissione Affari legali e costituzionali del Senato canadese. “Questa domanda richiede una risposta e noi come Organizzazione non governativa certamente sosteniamo l’estensione di questo diritto”.
Una richiesta piuttosto strana, visto che la “mission” dell’Unicef è di difendere e applicare la Convenzione Onu sui Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che all’articolo 6 stabilisce il “diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo del bambino”. Secondo la Convenzione, “gli Stati devono impegnare il massimo delle risorse disponibili per tutelare la vita e il sano sviluppo dei bambini, anche tramite la cooperazione tra Paesi”. L’eutanasia minorile, già approvata in Belgio e Olanda, potrebbe diventare legge già a giugno, ma secondo un preciso “percorso a tappe”. Il sistema giudiziario canadese stabilirebbe il “diritto di morte” dapprima “per tutti gli adulti competenti, poi, dopo tre anni di studi sui possibili effetti della legge sui minori” e su come evitare “manipolazioni”, e garantendo “precise tutele”, anche ai minori. Per l’Unicef, questa legge “dovrebbe essere estesa non a tutti i bambini, ma solo ai minori maturi”.
E’ una proposta ipocrita, in quanto non esistono criteri oggettivi, scientifici, grazie ai quali stabilire se un minore può essere “maturo”. Sorge spontanea una domanda: perché studiare i “possibili effetti” della legge sui piccoli? Quali effetti più gravi della morte può causare una norma? Bernstein ha dichiarato che l’eutanasia minorile è “coerente con la Convenzione sui diritti dell’infanzia”. Secondo le sue intenzioni, i bambini dovrebbero poter essere uccisi anche in assenza di una malattia terminale e perfino per motivi psicologici. Il gelo è sceso in aula alla domanda di un senatore: “Un 16enne depresso dovrebbe poter essere ucciso in base alla legge?”. “Sì”, è stata la risposta di Bernstein. Altro che coerenza con la propria “mission”. Uno schiaffo alla Convenzione Onu sui Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e ai suoi principi.
Ad oggi, l’Unicef non è l’unica Ong impegnata a richiedere il “diritto” di morte per i fanciulli. Nel 2014, Save the Children aveva chiesto alla Scozia di estendere il suicidio assistito anche ai minori perché “le malattie terminali non discriminano le persone in base alla loro età, di conseguenza anche la sanità non dovrebbe farlo”.
Ad alzare la voce contro una tale richiesta è stata la Chiesa. “Chi richiede eutanasia e suicidio assistito non può ricevere l’estrema unzione”, sono state le parole dell’arcivescovo di Ottawa, Terrence Prendergast, ricordando che i sacerdoti devono dissuadere i fedeli dal suicidarsi; certamente assisterli e pregare con loro e le loro famiglie, ma “chiedere di essere uccisi è un atto gravemente disordinato ed è il rifiuto della speranza che l’estrema unzione richiama e tenta di portare”.
In Canada, una legislazione su questo tema si è resa necessaria dopo che, nel febbraio 2015, la Corte Suprema del Paese ha dichiarato incostituzionale la “proibizione del suicidio assistito” contenuta nel Codice penale. Rifacendosi alle leggi belghe e olandesi, in Canada avrà diritto all’eutanasia e al suicidio assistito “chiunque abbia sofferenze fisiche o psicologiche tali da essere costanti e intollerabili per la persona”. Ciò significa, appunto,che non è necessario essere affetti da una malattia terminale o un tumore, anche un disturbo curabile come la depressione può essere “un motivo valido per accedere all’assistenza medica alla morte”.
Quello che più preoccupa, dal punto di vista etico, è che l’obiezione di coscienza non è contemplata nel disegno di legge. I medici sarebbero obbligati a partecipare al processo che porta alla morte del paziente. Tutt’al più, un dottore potrà limitarsi a fornire al paziente il contatto diretto di un altro medico disponibile a praticare l’eutanasia. Tutte le cliniche che ricevono finanziamenti dallo Stato, anche gli istituti religiosi, saranno obbligati a fornire gratuitamente l’iniezione letale.
Gustavo Zagrebelsky, giurista italiano e giudice costituzionale dal 1995 al 2004, in un’intervista rilasciata a “Il Fatto Quotidiano”, nel dicembre del 2011, diceva: “Quando una persona, nutrita d’ideali, vede che tutto è inutile, perde la speranza. Se la gran parte dei casi di suicidio deriva da ingiustizie, depressione o solitudine, il suicidio come fatto sociale ci pone una domanda. Può la società dire: va bene, togliti di mezzo, e io ti aiuto a farlo? Non è troppo facile? Il suo dovere non è il contrario: dare speranza a tutti? Il primo diritto di ogni persona è di poter vivere una vita sensata, e a ciò corrisponde il dovere della società di crearne le condizioni”. E ciò vale anche per chi ha una malattia grave: “La società, con le sue strutture, ha il dovere di curare, se è possibile; di alleviare almeno, se non è possibile. Posso voler non essere curato, o curato in un certo modo, anche se ciò comporta la morte: ma questo non è voler morire”. La vita è il bene biologico fondamentale di ogni persona. Da esso derivano tutti gli altri. Senza vita non ci sono diritti.