Europa sotto accusa, per i sindacati manca l’associazionismo

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 Tra i consulenti della Commissione europea c’è una forte mancanza di associazionismo e terzo settore, e degli esperti che seguono i commissari dell’organo esecutivo europeo, il 53%  sono esponenti rappresentanti di grandi corporation private.

A denunciarlo, in un documento, tre sindacati e una Ong che con un’indagine condotta tra il 2012 e il 2013 hanno rilevato la violazione del principio europeo di pari diritto di rappresentanza tra privati, organizzazioni non governative e associazioni della società civile. A condurre la ricerca è stata il mediatore europeo Emily O’Reilly – nonché garante dei cittadini contro la cattiva amministrazione europea -, e adesso le associazioni lanciano l’appello alla nuova commissione Junker che si insedierà a novembre.

“Devono cambiare i metodi di selezione dei consulenti – si legge nel documento – invece che garantire l’equità in base alle capacità personali, si dovrebbero valutare gli interessi che un singolo rappresenta”.

Ad esempio, secondo la ricerca il 100% dei membri del gruppo Data retention (conservazione dei dati) proviene da industrie private, e questa provenienza si abbassa appena al 94% per quanto riguarda il gruppo sui prodotti agricoli – il restante 6 per cento sono contadini – . Il gruppo sull’armonizzazione delle tasse, nelle sue due sottocommissioni sull’Ilva, è composto per l’80% da persone legate all’interesse di aziende private.

I sindacati in questione sono l’European Trade Union Confederation, confederazione di 85 sindacati di 36 paesi europei; la UNI europa, gruppo sindacale di 50 paesi europei, e la European Federation of Public Service Unions, che rappresenta i sindacati del settore energia, salute e servizi sociali. La Ong è Corporate Europe Observatory, che si è occupata di scandagliare i dati.

“Le istituzioni europee stanno evitando il dibattito pubblico – spiega Pablo Sanchez Centellas di ETUC .- preferiscono consulenze private che provengono da un ambiente dominato dalle corporation, escludendoci dal dibattito pubblico. Non c’è trasparenza”

 

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Giulia Capozzi: