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ERITREA, GLI SCHIAVI COL FUCILE

Siamo abituati a vedere le forze armate come l’esempio più alto di attaccamento alla Patria, come una scelta di vita disposta anche ad andare incontro alla morte, come l’esempio più alto di abnegazione. Ma non è sempre così, non in tutte le parti del mondo, almeno.
Quando fare il militare non è una scelta ma una costrizione, quando la leva obbligatoria non è di un solo anno ma dura un’intera esistenza, quando le condizioni di sopravvivenza sono messe a rischio nello stesso vivere quotidiano più che in battaglia non siamo più davanti all’appartenenza a un corpo militare ma a una nuova forma di schiavitù. O forse sarebbe meglio dire “rinnovata”, perché nelle pieghe della storia ci sono già esempio di uomini costretti a combattere loro malgrado.

Lo dice l’Onu, e parla di una delle tante periferie del mondo, l’Eritrea. Dove il servizio militare illimitato equivale appunto a una forma di schiavitù ed è quindi “un crimine contro l’umanità”. “Circa 400.000 persone in Eritrea sono schiave del militare illimitato”, ha detto Mike Smith, presidente della Commissione per l’Eritrea del Consiglio Onu per i diritti umani. Nel 2015, più di 47mila eritrei hanno provato a fuggire per chiedere asilo in Europa, ma altre decine di migliaia si sono diretti verso il Sudafrica e nei Paesi vicini.

“I funzionari eritrei – afferma il rapporto della Commissione Onu – esercitano un vero e proprio diritto di proprietà sui cittadini; “ci sono buone ragioni per credere – afferma la Commissione – che i funzionari eritrei hanno commesso il reato di schiavitù, un crimine contro l’umanità, perpetrato in maniera sistematica e in modo persistente a partire dal 2002”. “Sono pochissimi i cittadini che non hanno l’obbligo di servire lo Stato nelle forze armate “ha detto Smith in una conferenza stampa. E questo è uno dei motivi per le quali gli eritrei fuggono a migliaia da questo piccolo paese del Corno d’Africa, con 6,5 milioni di persone.

Per la Commissione d’inchiesta, la leva militare dovrebbe essere ridotta a un anno e mezzo al massimo, come previsto. Ma nella realtà le cose sono ben diverse: secondo il rapporto, “negli ultimi 25 anni tutto è ruotato intorno a centri di detenzione, campi di addestramento militare e altre sedi in tutto il Paese”. Il presidente della Commissione d’inchiesta ha chiesto al Consiglio di Sicurezza di adottare “misure mirate” contro i responsabili di questi crimini.

Tra le raccomandazioni che presenterà al Consiglio dei Diritti Umani, ci sarà anche la Richiesta per il governo eritreo di attuare la Costituzione del 1997 e ratificare numerose convenzioni che garantiscono i diritti umani; nonché l’applicazione del codice penale, procedura penale, civile e procedura civile stilato nel maggio 2015. La situazione nel Paese è precipitata da quando nel 1993 sotto l’egida dell’Onu si svolse un referendum per decidere se l’Eritrea dovesse finalmente diventare un Paese indipendente o mantenere la federazione con l’Etiopia. Il 99% degli eritrei votò per l’indipendenza, dichiarata ufficialmente il 24 maggio 1993. Da allora il paese è in mano a Isaias Afewerki, presidente-padrone che gioca molto sui conflitti regionali. Aferwerki ha isolato e militarizzato l’Eritrea. La gente è poverissima, con la corruzione alle stelle.

Secondo l’ultimo rapporto annuale di Amnesty International, la situazione dei diritti umani nel paese è drammatica: “E’ rimasto obbligatorio anche l’addestramento militare per i minori. Le reclute sono state impiegate per svolgere lavori forzati. Migliaia di prigionieri di coscienza e prigionieri politici hanno continuato ad essere detenuti arbitrariamente in condizioni spaventose. L’impiego della tortura ed altri maltrattamenti è un fenomeno diffuso”. Esattamente un anno fa le Nazioni Unite diffusero documento che sintetizzava i risultati di indagini sulla situazione dei diritti. Le conclusioni contenute nel documento dell’Onu erano terribili. È passato un anno… Uno schiaffo alla libertà, ma siamo in una delle periferie del mondo, uno di quei posti dove nessuno ha un interesse specifico. Un posto invisibile, e infatti non è cambiato nulla.

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