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EPATITE C IN ITALIA
DOVE RISCHI DI MORIRE

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. L’articolo 32 della Costituzione sembra chiarissimo, e probabilmente lo era negli intenti dei Padri Costituenti che non potevano nemmeno immaginare cosa fosse la spending review. Oggi però non è più così, e non parliamo delle ormai “solite” storie di malasanità che riempiono le cronache di tutta Italia. Stavolta sotto i riflettori c’è l’assurdità con la quale viene tratta una malattia mortale, della quale ormai poco si parla, ma che fa migliaia di vittime all’anno: l’epatite C.

L’epatite cronica C rappresenta un problema sanitario di livello nazionale: si stima infatti che in Italia circa un 1,5 milioni di persone siano affette da questa infezione che colloca l’Italia tra le aree a più elevata prevalenza d’Europa. Esiste, poi, un gradiente di incremento dei casi nel progredire da nord a sud.

La malattia se non trattata può evolvere in cirrosi che a sua volta va incontro alle complicanze tardive della malattia, scompenso ascitico, carcinoma epatocellulare ed emorragia digestiva da rottura di varici. Insomma, una malattia gravissima se non curata adeguatamente. La storia naturale della infezione da HCV decorre per 10-30 anni senza sintomi e solo gli appropriati esami di laboratorio possono scoprire l’infezione.

E qui scatta l’assurdità: nel nostro Paese con una sanità “regionalizzata” e fondi ripartiti “pro capite”, alcune regioni con maggior numero di abitanti e minor numero di malati potranno trattare tutti i propri cittadini malati, gravi e meno gravi, ed altre con minor numero di residenti ma con il triplo dei malati di altre regioni a fronte della minore generica erogazione potranno curare solo una minima parte dei più gravi. Per dirla in parole povere: ti puoi curare se sei fortunato e nasci in una regione popolosa e “ricca”, altrimenti puoi anche morire.

Ma c’è chi ha fatto avventure da Indiana Jones per non sottostare al destino. Bruno ha 83 anni, scopre di avere una pericolosissima cirrosi epatica conseguente all’Epatite C. Ma in Campania i posti a disposizione sono pochi, per lui non c’è spazio. Si attacca a Internet e scopre che in Egitto c’è un medico che vende proprio quel farmaco che gli serve per campare. In Italia è vietato, può essere somministrato solo dal Servizio Sanitario Nazionale, ma – come detto – per lui non c’è nessuna opportunità. Allora parte e va in Egitto. Quel medicinale viene venduto a circa 900 euro la scatola, ma per lui che viene da fuori fanno… un’eccezione: vogliono settemila euro. Inutile la contrattazione, non resta che tornare in Italia, prendere tutti i risparmi e ripartire. Quando arriva di nuovo in Egitto, però, trova la polizia pronta a fare un blitz contro il farmacista criminale. Lui scappa, prende un taxi e si fa portare di corsa in aeroporto. Prende al volo – è il caso di dire – il primo aereo utile per l’Europa. Poi torna a casa e si confida con il dottor Vincenzo Messina, dirigente medico dell’Azienda ospedaliera Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta. Adesso aspetta una chance per curarsi.

La storia di questo 83enne, la sua forza al limite dell’avventura cinematografica, la dice lunga sulla disperazione che i pazienti vivono, sull’angoscia di sapere di non poter essere curati. Sull’ingiustizia – diciamolo – di un sistema sanitario basato a volte su criteri più burocratico-statistici che non medici.

Ora esiste una proposta per superare l’empasse, fatta dal Cleo (l’associazione di epatologi): quella di un registro nazionale dei soggetti affetti da infezione di HCV che garantisca un accesso alla terapia trasparente e rispettoso del diritto di tutti i cittadini italiani di accedere alla cura eradicante di HCV. I pazienti, affetti da cirrosi ed epatite cronica, verranno registrati on line, dagli specialisti accreditati dalle rispettive Regioni, presso AIFA inserendo non solo dati anagrafici ma anche quelli clinici che consentono, tramite l’applicazione di scoring sistems già noti, di attribuire ad ognuno un punteggio e quindi l’inserimento in una graduatoria che garantisca una modalità univoca progressiva di acquisizione del diritto alla terapia. Ma è solo una proposta, che va portata avanti in sede legislativa.

Il mondo politico sembra distratto rispetto a questo problema. Si sta battendo fianco a fianco dei medici il solo senatore Vincenzo D’Anna, anche lui un camice bianco, membro della 12ª Commissione permanente Igiene e sanità. Davvero un po’ poco in un Parlamento che tra senatori e onorevoli conta circa mille persone. Uno schiaffo alla gente che soffre, all’efficienza dello Stato, alla corretta allocazione delle risorse. E, soprattutto, alla Costituzione.

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