Edo nasce in Cile, arriva in Italia a 6 anni, adottato da una famiglia marchigiana. “E’ andata male. I rapporti tra noi non hanno mai funzionato. Mio padre era assente, mia madre sempre impegnata con il lavoro, poco stabile, nervosa. Avevano adottato anche una bambina, di un anno più piccola di me. In pratica mia sorella stava dalla nonna paterna, che abitava sotto casa nostra; anche io preferivo stare da lei. Per la maggior parte della giornata ero solo”.
A 15 anni Edoardo viene mandato in un collegio di Lodi: i genitori sono sull’orlo del divorzio. “In quel periodo comunicavo con la mia famiglia solo attraverso mia nonna. Da lei venni a sapere che mio padre se ne era andato con un’altra donna… (di lui non ne sapranno più nulla, ndr) che mia madre soffriva di esaurimento nervoso, e che mia sorella aveva smesso di mangiare. “In collegio non riuscivo a stare, era un ambiente chiuso, avevo solo un’ora di aria al giorno. Era un posto pieno di delinquenza, ho preso tante botte, le ho date ma per proteggermi: brutte storie di nonnismo e girava molta droga”.
Torna a casa, si arrangia. Riesce a diplomarsi al liceo scientifico di Ancona, vivendo in ostelli, hotel, monolocali: “Non volevo abbandonare gli studi, non volevo buttare via la mia vita. Ho avuto delle difficoltà nello stare fuori casa senza nessuno, ma ero orgoglioso e non avevo voglia di chiedere aiuto agli altri, non volevo mostrarmi debole”.
Grazie a piccoli lavori in nero riesce a mantenersi faticosamente, ma non abbandona la scuola, a rischio di addormentarsi sul banco per il lavoro notturno. Ottenuto il diploma decide di andare all’università. Torna a Milano, vive di espedienti. Comincia a spacciare. “La droga mi dava sostentamento economico: il fine giustificava i mezzi. Oggi ho capito che lo facevo perché volevo essere accettato, che qualcuno mi ‘volesse bene’. Le persone mi cercavano, mi stavano intorno: ma volevano solo la droga. Credevo che tutti fossero lì per me, credevo di aver trovato degli amici. Ho vissuto molte delusioni”.
Viene arrestato, un anno e due mesi con la condizionale, pena sospesa. Ha 21 anni. Poi arriva la rapina, e un’altra condanna… Questa volta in carcere ci finisce. Attraverso l’avvocato gli viene proposta la Comunità Papa Giovanni. Un’occasione importante, anche per capire se stesso e andare alle radici delle sue scelte di vita. Così arriva alla Casa Madre del Perdono, dopo cinque mesi di carcere tormentato.
“Oltre il lavoro c’era la parte rieducativa. Ogni giorno avevamo incontri di gruppo per parlare di noi stessi, capire le nostre ferite passate o il perché avevamo sbagliato. E’ trattato molto il tema della rabbia, della famiglia, delle emozioni. Quasi tutti i ragazzi che arrivano lì vivono un alfabetismo emozionale. Io ho cercato di conoscere me stesso, mi sono messo in discussione e ho scavato nel mio passato, ma avevo un’enorme difficoltà a parlare di me. Questo lavoro mi è servito molto perché ho fatto chiarezza su chi sono, cosa voglio e dove sto andando. Ho avuto gli strumenti giusti, ho imparato a guardarmi dentro, capisco bene come sono fatto e il perché di tanti atteggiamenti. Riesco a dare un significato ai miei comportamenti. Ho capito che non volevo i soldi o le cose materiali, mi bastava la semplicità di vivere un ambiente familiare, vivere di relazione, di dialogo, essere compreso.
Cercavo persone che mi accompagnassero nel percorso della vita, che mi accettassero così come sono senza l’idea di cambiarti come uno ti vuole. Ecco cosa mi ha salvato, il sentirmi accettato da Giorgio e gli altri (gli educatori della Papa Giovanni, ndr) con quello che sono, con tutti i miei limiti”. Uno schiaffo ai pregiudizi e all’indifferenza imperante.
Oggi Edo ha 25 anni e sogna ancora l’università, ma più di tutto sogna una famiglia, una moglie, dei bambini. “Sai, adesso vivo da solo, mi sono affittato una casetta qui vicino, la mattina vengo a lavorare in bicicletta.. Per la prima volta mi sento davvero libero”. Guardo Edo che lavora, sorride e scherza con i ragazzi disabili inseriti nella cooperativa, e penso a don Oreste, che diceva sempre che il carcerato è una risorsa che manca alla società, quel bene di cui noi di priviamo.
(in collaborazione con la rivista “Sempre”)
In home page, nella sezione Interris tv, il video della storia di Edoardo