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Dopo il Whanganui, ecco il Gange e lo Yamuna: quando i fiumi diventano persone giuridiche

La clamorosa decisione del Tribunale della Nuova Zelanda di attribuire al fiume Whanganui, considerato sacro dalla popolazione Maori, una personalità giuridica era fino a poche ore fa un unicum. Un’esclusiva scemata in pochi giorni: in occasione della Giornata mondiale dell’acqua, infatti, un tribunale indiano (precisamente la Corte suprema dello stato di Uttarakhand) ha decretato la stessa identica attribuzione anche ad altri due corsi d’acqua di fondamentale importanza religiosa, storica e sociale per il popolo induista della Penisola indiana: si tratta del grande fiume Gange e dello Yamuna, suo affluente, che, per il loro ruolo nella tradizione millenaria dell’India, rappresentano davvero due emblemi di fede e sacralità. E, da oggi, saranno considerati alla stregua di “entità legali e viventi, con status di personalità giuridica”.

Persone, diritti e doveri

A spingere i giudici indiani a sentenziare la considerazione dei fiumi come due persone, è stato proprio il precedente neozelandese, citato durante l’assemblea in aula. Naturalmente, come nel caso del Whanganui, il tribunale ha provveduto a nominare anche coloro che assumeranno il ruolo di tutori dei due corsi d’acqua. E se, assumendo tale dimensione agli occhi della legge, i fiumi ne erediteranno tutti i diritti e i doveri, è probabile che questi si riverseranno sull’operato dei loro gestori. In un contesto come quello indiano, una tale riconsiderazione del Gange e dello Yamuna potrebbe altresì costituire un’importante occasione per rivedere, allo stesso tempo, alcune norme ambientali che, per troppo tempo, non sono riuscite a limitare i galoppanti livelli d’inquinamento dei fiumi. L’affluente, in particolare, presenta interi tratti del tutto privi di ecosistemi gravitanti. In sostanza, di vita.

Inquinamento record

Ecco, dopo la decisione della Corte suprema dell’Uttarakhand, questi fiumi “respirano, sostengono e vivono con le diverse comunità dalle montagne al mare”. Ciò potrebbe significare la sospirata istituzione dell’organismo di controllo e tutela ambientale finora inattuato dai governatorati locali, oltre che l’applicazione di misure preventive nei confronti degli oltre 1,5 miliardi di liquami inquinanti riversati nelle acque del Gange. E lo Yamuna è messo addirittura peggio: più o meno in corrispondenza dei 350 chilometri dalla sorgente himalayana alla foce, le acque del fiume subiscono una netta involuzione nel livello di salubrità, arrivando a toccare vertiginosi tassi di inquinamento, provocati da incontrollati scarichi fognari e riversamento di rifiuti provenienti dai poli industriali. Ad aggravare ancora di più la situazione dell’affluente è la considerazione che, tale fiume, rappresenta la principale riserva idrica per la capitale dell’India, New Delhi: se lo Yamuna, infatti, costituisce la fonte d’acqua attraverso la quale la città si disseta (ovviamente dopo trattamento chimico), è anche vero che la metropoli ringrazia scaricando non meno del 58% dei circa 1,9 miliardi di acque di scarico al suo interno.

Acque sacre

Tale situazione, a ogni modo, non ha mai scoraggiato la popolazione di fede induista a praticare i propri riti sacri nei due fiumi: al di là dei consueti rituali di purificazione, ogni dodici anni si svolge, nel punto in cui lo Yamuna si getta nel Gange, un enorme Kumbh Mela (il pellegrinaggio indù durante il quale i fedeli si immergono nel fiume sacro), l’ultimo dei quali datato 2013. In quell’occasione, si stima fossero oltre 100 milioni le persone che, sfidando i rischi dovuti all’inquinamento, non hanno rinunciato a praticare quello che, per la loro religione, rappresenta uno dei momenti più importanti.

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