Ricorre oggi il 50esimo anniversario dalla tragedia del Vajont che uccise, alle 22.39 del 9 ottobre 1963, 1908 persone a cui vanno aggiunti i 10 caduti sul lavoro durante la costruzione della diga. Una tragedia che in un certo senso era sempre stata temuta e annunciata dai geologi .
A causare il disastro fu un’enorme frana di roccia di circa due chilometri quadrati di superficie e 260 milioni di metri cubi di volume che dal Monte toc, tra Friuli e Veneto, precipitò nel sottostante lago artificiale creando un’onda di 230 metri d’altezza e 50 milioni di metri cubi di materiale solido e liquido in sospensione. Bastò soltanto la metà di quel materiale (circa 30milioni di metri cubi) per causare il salto dei detriti sopra la diga che si abbatterono con una ferocia inaudita su tutto ciò che incontrarono.
Solo nel paese di Longarone le vittime accertate furono 1450. Altri 4 paesi situati nella valle del Piave: Pirago, Rivalta, Villanova, Faè, vennero rasi al suolo. Gli studi effettuati dopo la tragedia ci dicono che, indipendentemente dalle cause contingenti, una decisione piuttosto sconcertante fu quella di abbassare lentamente il livello del lago per evitare fenomeni franosi. Ma forse fu proprio questa la causa che innescò il disastro perché provocò un periodo di siccità che indebolì la roccia.
Le dighe, se da una parte servono a creare energia, migliorare la vita, gestire i flussi dei fiumi, dall’altra non bisogna dimenticare che per l’ambiente rappresentano delle “intrusioni” che la natura non prevede. L’uomo, con la sua sete di potere e le sue ambizioni spesso si dimentica di questo e non a caso il problema sulla funzionalità delle dighe è da anni al centro di un enorme dibattito a livello mondiale.