Quanto vale una violenza sessuale nei confronti di un alunno minore in condizioni di inferiorità psichica? La domanda nasce da una sentenza della Corte dei Conti, sezione giurisdizionale della Toscana, arrivata a definizione poco tempo fa. La risposta verrà data tra qualche capoverso, ma prima vale la pena fare qualche ragionamento.
Questa brutta storia, che ha avuto come protagonista – in negativo – un assistente tecnico di un Istituto Professionale, innesca infatti una serie di profonde riflessioni sulle quali non è possibile far finta di nulla.
Partiamo dai fatti. La condotta tenuta dall’accusato “è qualificabile come dolosa – scrivono i giudici nella sentenza relativa al procedimento n.59798/R – per aver messo in essere volontariamente e consapevolmente i comportamenti delittuosi”. L’episodio di violenza accade all’interno di un Istituto di Massa Carrara nel momento in cui l’uomo, approfittando dell’incapacità della vittima, lo induce a subire ripetuti atti sessuali.
Punto primo. Quando si affida un figlio a una scuola, si ha la percezione che quello sia un luogo protetto, dove i ragazzi vengono formati, educati, aiutati a crescere; sia sotto il profilo strettamente didattico, sia sotto quello umano. O almeno questo è ciò che dovrebbe essere. E ci si aspetta altresì che i controlli siano costanti, incrociati e serrati. Inaccettabile che accada qualcosa come una violenza sessuale.
Punto secondo. Se il ragazzo affidato è un minore, l’attenzione deve moltiplicarsi, in quanto l’aspetto educativo è forse persino più importante di quello riguardante l’apprendimento di nozioni.
Punto terzo: se aggiungiamo che la persona vittima di violenze era in condizione psicopatologica di natura neuropsichiatrica, caratterizzata da un cronico minus intellettivo, allora ci si aspetta che l’intera struttura scolastica abbia la massima attenzione a qualunque interazione con il ragazzo.
Tutto ciò non è avvenuto. Certo, la giustizia penale ha fatto il suo corso, l’impiegato Ata “deviato” è stato arrestato, condannato a 3 anni in Cassazione, interdetto in perpetuo da qualunque incarico nelle scuole di ogni ordine e grado, e il Ministero ha dovuto risarcire. Senza entrare nel merito della condanna, la cifra definita per il risarcimento alla vittima e alla famiglia fa pensare: 83.403 euro, tutto compreso.
Ecco tornare la domanda iniziale: quanto vale una vicenda come quella descritta, senza contare il dramma della vittima, l’umiliazione subita dalla famiglia, la rabbia dei genitori, l’inadeguatezza dei sistemi di controlli? Qualche decina di migliaia di euro, nulla più. Uno schiaffo al concetto di Giustizia, che spesso nel sentire comune non è assimilabile a quello declinato nelle aule di Tribunale. E non è una questione di soldi, tanto non ci sarebbe cifra capace a lenire le ferite dell’anima di questo ragazzo e dei suoi parenti. E’ più un ragionamento su come va il mondo oggi.
A fronte di condanne risarcitorie milionarie per presunte diffamazioni di politici, attori e starlette, la devastazione umana appena raccontata vale come un centesimo. Uno schiaffo al concetto stesso di equità, che nella sua profondità esula dai libri di diritto. E’ un fatto, che il dolore degli ultimi, degli emarginati, dei disabili “costa” meno rispetto a quello dei più fortunati, di chi ha potere, di chi vive sotto i riflettori. Un’insopportabile ingiustizia che dunque sarà anche “a norma di codice”, ma che non può essere taciuta. O tempora, o mores.