Quando un atleta disabile svolge una visita medica, i dottori non guardano quello che non riesce a fare, ma quello che sa e può realizzare. Anche ai normodotati, quando si presentano ad un colloquio di lavoro, gli viene chiesto: “Cosa sai fare?”. I limiti del corpo non sempre corrispondono a quelli dell’animo, né tantomeno della volontà. Ce lo insegnano molto bene tutti quegli sportivi che, invece di lasciarsi vincere dalla malattia, lottano per realizzare i propri sogni, utilizzando, così come gli altri, le proprie potenzialità.
Questo è stato il punto di partenza di Laura Coccia, che abbiamo incontrato nella Galleria dei Presidenti della Camera dei Deputati. Classe 1986, atleta paralimpico affetto da tetraparesi spastica, malattia diagnosticata dopo la nascita. “In base a quello che riesco a fare, poi posso imparare a realizzare altre cose. Io sapevo camminare poco e invece ho iniziato a correre. Nella vita devi provare. Cadi, ti rialzi. Non ci riesci, la prossima volta ci riuscirai meglio”. La malattia le viene. Non potrà camminare come gli altri.
Il periodo delle scuole elementari Laura lo passa in un angolo, silenziosa spettatrice del mondo che la circonda. “Ho cominciato ad osservare come le persone camminavano, e da lì ho provato a farlo modo mio”. Le insegnanti, tuttavia, non era dello stesso avviso. Per cinque anni è stata ostacolata da chi le doveva garantire un futuro. “Hanno cercato di spiegarmi che ciò che io sognavo – le olimpiadi – non era possibile”. Uno spastico non si relaziona con il mondo, non si muove, resta fermo. O almeno è quello che pensano le maestre. E quale ruolo le affidano allora le insegnanti per la recita di Natale? La grotta. Seduta, immobile, circondata dalla carta del presepe per mimetizzare il “problema”. Uno schiaffo al sistema educativo scolastico che dovrebbe spronare le nuove generazioni al rispetto e alla fiducia in se stessi.
La spasticità è una malattia piena di cliché: non è vero che tutti hanno problemi a relazionarsi. Psicologicamente non hanno mancanze. “Mi sono scontrata con una barriera culturale e mentale dove si provava paura per chi è diverso. Molto spesso la fobia è generata dal fatto che le disabilità sono tantissime e non si possono conoscere tutte. Loro puntavano ad indottrinarmi, cioè a farmi imparare la lezioncina a memoria; tentavano di insegnarmi che io avrei avuto solo ruoli di secondo piano. Il problema è che in quel modo non avevo relazioni sociali”.
Giunta alle scuole medie incontra Gianni, un professore di educazione fisica. L’insegnante aveva già accompagnato un ragazzo affetto da una lesione spinale. “Quando sono arrivata io, lui ha continuato quello che aveva iniziato”. Gianni la incoraggia a combattere: “Adesso tu devi fare quello che fanno gli altri”, le dice. Parole forti, ma allo stesso tempo cariche di paura e di speranza per una bambina che non riesce a reggersi in piedi da ferma. Laura, accompagnata dalla sua famiglia, sempre presente al suo fianco, e dal suo professore, migliora, passo dopo passo, è il caso di dire, fino ad arrivare a correre.
Laura oggi è una parlamentare convinta che “dagli altri c’è sempre qualcosa da imparare”. Per i traguardi che ha raggiunto sarebbe più consono chiederci cosa potremmo imparare noi da lei. Laureata in storia con tanto di borsa di studio, ha vinto circa una trentina di titoli italiani come maratoneta. In un mondo che proietta l’immagine della donna come assoluta perfezione e meraviglia, essere donna e disabile vuol dire vivere fuori dagli schemi. “Voglio dimostrare alle ragazze che essere disabili non è un problema. Avere un corpo imperfetto non è un problema. Tutti hanno qualche difetto”.
L’onorevole Coccia ha anche introdotto alcuni emendamenti nella riforma della “Buona scuola” circa la delega sul sostegno. “Il mio obiettivo è svecchiare il concetto di disabilità, vedere le abilità e garantire la continuità didattica. La scuola, la società, tutti devono puntare sulle capacità residue, poi sarà il ragazzo stesso a trovare i suoi obiettivi. Forse non saranno quelli degli altri, ma magari si. Noi a priori non lo possiamo sapere. Un disabile ha un ostacolo, che è quello della crescita. Non conosciamo il modo in cui lo passerà, ma siamo tenuti a sostenerlo, e a dargli tutti gli strumenti per poterlo fare”.
La forza di Laura risiede anche nella fede. “Sono una cattolica praticante e, come diceva Madre Teresa di Calcutta, mi sento uno strumento nelle mani di Dio”. La sua vita è orientata da due passi biblici: la parabola dei talenti e un verso del salmo 118. “Ognuno deve mettere a frutto quello che ha ricevuto, non può far finta di non averlo. Abbiamo ricevuto dei doni e li dobbiamo mettere a servizio di tutti. Se ho ricevuto un dono così bello, come per me la capacità di superare la disabilità, perché lo devo tenere per me? La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo: questa pietra sono io. Chiunque, anche se la società lo emargina, ha il dovere di prendere in mano la propria vita e di costruire il proprio futuro”. Laura sa cosa vuol dire essere disabile, ed è consapevole di avere un compito: affiancare chi è in difficolta per fargli arrivare un messaggio: “Esci di casa, c’è la vita che ti aspetta. Puoi vivere una vita normale, puoi anche sposarti. Disabile è solamente un aggettivo, che qualifica una persona esattamente come alto o basso”.
Leggi anche: “Ho scelto di vivere a modo mio”