Tra le principali problematiche considerate alla base dei recenti cambiamenti climatici, rientra senz’altro quella della deforestazione. Una pratica non certo di origine nostrana, essendo il taglio degli alberi fra le prime attività svolte dall’uomo sul pianeta, anche e soprattutto dopo la scoperta del fuoco. Tale abitudine umana, dunque, si è perpetrata nel corso dei secoli, aumentando via via l’intensità della sua attuazione, fino a toccare vertici vertiginosi dopo l’avvio dell’industria del legname, ben prima che i rischi comportati fossero compresi appieno e che il termine “deforestazione” venisse coniato. Nel corso degli anni, i dati sugli effetti della pratica sono diventati però sempre più accessibili, tanto da avviare un processo di protesta da parte dei movimenti ambientalisti i quali, tuttavia, non hanno contribuito che in minima parte a limitare il fenomeno, il quale ha continuato a manifestarsi tanto da stimolare molti interrogativi, uno su tutti: esiste il rischio di una completa deforestazione?
Un gruppo di ricercatori dell’Università del Maryland ha stilato, a tal proposito, un rapporto statistico volto a evidenziare come il recente incremento del disboscamento possa aver influito sull’andamento climatico terrestre. L’indagine è stata condotta sulle cosiddette “foreste vergini”, ovvero aree boschive non intaccate dalla mano dell’uomo per un’area di almeno 500 chilometri quadrati, fondamentali nel regolamentare il livello di anidride carbonica presente nell’aria e la sopravvivenza di numerosi ecosistemi. Da questo studio è emerso che, in un periodo compreso fra il 2000 e il 2013, circa il 7% di queste distese verdi è scomparso. Secondo le stime calcolate, si tratterebbe di un’area pari a 919 mila chilometri quadrati, ossia quasi l’intera superficie del Venezuela.
La ricerca effettuata, si è concentrata su diverse aree del mondo, sulle quali sono stati forniti differenti dati a indicare dove, come e quanto la pratica della deforestazione sia stata eseguita più intensamente. La maglia nera, al 2013, spetta alla Russia: qui, infatti, sono stati persi, in 13 anni, circa 179 mila kmq di foreste. A completare il “podio” ci sono il Brasile (157 mila) e il Canada (142 mila). Applicando un calcolo percentuale, invece, il Paese più “deforestato” risulta essere la Romania (100%), seguita dal Paraguay (79%). Ma il dato più rilevante, proviene dalle stime effettuate su alcuni Stati che, entro un lasso di tempo decisamente breve, rischiano di perdere completamente le loro aree silvestri: secondo i ricercatori, di questo passo, tale possibilità potrebbe concretizzarsi nel 2020, in Paesi come la Cambogia, il Laos e la Guinea Equatoriale, oltre allo stesso Paraguay. Da segnalare, comunque, anche alcuni Paesi che, invece, si distinguono nell’opera di preservazione, come Uganda, Repubblica Dominicana, Thailandia e Cuba.
In sostanza, nel periodo preso in esame, si è registrato un calo preoccupante nel numero di chilometri quadrati occupati da alberi vergini: dai 12.800.000 di inizio millennio, infatti, si è scesi agli attuali 11.881.000. Segno evidente che, in fondo, il rischio non solo esiste ma, in alcuni luoghi, è addirittura piuttosto concreto. Con danni incalcolabili, ovviamente, alla Terra e alle creature che la abitano, uomo compreso.