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Def: dov’è il cambiamento promesso?

[cml_media_alt id='10257']maurizio_petriccioli-2[/cml_media_alt]Nel 2007, quando esplose la crisi finanziaria, i paesi Europei ne furono coinvolti in modo ed in misura diversa e la Germania fu tra quelle nazioni che subirono di meno i contraccolpi della economia globalizzata, divenendo ben presto il modello che i Paesi in deficit dovevano seguire. Ma oggi che la ricetta tedesca comincia a non funzionare più, nemmeno in Germania, l’Europa deve capire che oltre a piazzare ottime merci all’Estero, è importante rilanciare il mercato interno con investimenti e consumi. Puntare ad aumentare il piano di investimenti promesso dal neopresidente Juncker in campagna elettorale, nella dimensione di 300 Mld in tre anni, e adottare un grande piano di spesa pubblica a livello Europeo in infrastrutture sono interventi che possono funzionare da volano per aumentare l’occupazione e attivare nuovi investimenti.

Sul fronte interno la conferma della situazione di sostanziale stagnazione nel 2015 richiede una coraggiosa presa d’atto della necessità di intervenire sulla domanda interna per consumi e investimenti, assumendo un percorso più lento rispetto all’obiettivo programmatico definito dal Governo, per finanziare una manovra espansiva che intervenga sulle situazioni di maggiore disagio economico e sociale e che riattivi la domanda interna, indispensabile per rilanciare la nostra economia.

Per realizzare questo risultato è necessario ridurre modo sensibile il cuneo fiscale che grava sul mondo del lavoro e sulle imprese – a cominciare da quelle che investono, che aumentano qualitativamente e quantitativamente la base occupazionale e che intendono migliorare il loro livello di specializzazione produttiva – allargando anche ai pensionati e agli incapienti i benefici derivanti dal bonus fiscale degli 80 euro; potenziare gli ammortizzatori sociali e gli strumenti di intervento contro la povertà; allentare il Patto di stabilità interna per consentire agli enti locali di sbloccare le opere cantierabili e pagare i crediti vantati dalle imprese nei confronti della pubblica amministrazione; correggere, infine, le storture provocare dall’irrigidimento dei requisiti di accesso alla pensione effettuato dalla legge Fornero per rimettere nella disponibilità di lavoratori ed imprese, almeno nelle situazioni di maggiore crisi aziendale e nelle attività di lavoro maggiormente faticose e pesanti, le scelte relative al pensionamento.

Può sembrare un’impresa difficile in questa nostra Europa bloccata da deflazione e austerità, in cui il Pil è ancora 3 punti sotto la percentuale del 2007, vi sono 7 milioni di disoccupati in più e il debito pubblico medio è salito dal 65 al 95%. Vale la pena di fare qualcosa di diverso e di reagire ad un rigore che sta minando la struttura socioeconomica e la competitività futura dei paesi europei.

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