Davide Cerullo sorride. Quando parla si avverte la forza di chi la vita l’ha prima subita e poi ha deciso di conquistarla, accoglierla e donarla. Si percepisce il vissuto di un uomo che ha avuto il coraggio di fare una scelta contro corrente e non ha mancato il suo appuntamento con Dio sebbene in un posto scomodo come la prigione. Nato in una famiglia numerosa, è il nono di 14 figli, Davide ha sempre seguito il padre quando andava a pascolare le pecore e i suoi primi anni sono trascorsi nella semplicità della campagna. Nel 1980 il comune gli affida un nuovo alloggio, il cemento armato delle vele di Scampia prenderà il posto degli spazi aperti e delle praterie. E’ in quegli anni, tra i palazzoni della 167, che in Davide cresce il “piacere” per il crimine, a 10 anni era già un pusher, a 14 guadagnava 800.000 lire al giorno.
Così in tenera età era già parte del “sistema”, di quella realtà che insegna ai bambini la vergogna di andare a scuola perché è considerata un segno di debolezza: “Cioè se vai a scuola tu si scem – dice – sei un poco di buono; le mafie hanno meno paura di un giudice che di una scuola. Pensa come dovrebbe essere forte l’istruzione che è il più grande atto di democrazia che esista”. I genitori intanto si separano e il padre si trasferisce nel Lazio dove Davide lo raggiungerà su suggerimento dei fratelli che vogliono preservarlo dalla malavita. È qui, a un centinaio di chilometri dal resto della famiglia che un giorno accendendo la televisione assiste in diretta all’arresto della madre: “Lei che aveva fatto i lavori più umili ha ceduto, perché la camorra continua ad assicurare un supporto economico a quelle famiglie finanziariamente deboli, la mafia ti dà come favore quello che lo Stato ti dovrebbe dare per diritto”.
E’ stato un momento difficile e di dolore per lui: “Ho pianto, ma il mio desiderio oltre che vedere mia madre era quello di tornare a Scampia per prendere il suo posto”. Da quel giorno la strada diventa la sua casa e i boss la sua famiglia. A 16 anni viene arrestato per la prima volta, ma dopo tre giorni grazie all’avvocato del ‘sistema’ riesce a tornare alla vita di sempre. I soldi aumentavano e il suo nome diventava sempre più importante tanto che vennero pagati due avversari di clan per mettergli paura: “Uno di loro si è avvicinato e mi ha appoggiato proprio la canna della pistola sulla gamba e ha sparato.” Era solo il primo avvertimento, seguito poi dall’arresto a 18 anni. Fu in prigione che la sua vita cominciò a cambiare: “Vidi sulla mia branda una piccola Bibbia, vinsi la vergogna di farmi giudicare dai miei compagni e la aprii: nelle ultime pagine c’era scritto per tre volte il mio nome. Nel carcere di Poggioreale c’è un Vangelo con due pagine mancanti, l’autore di quel furto sono io.”
Da questo episodio rimase affascinato, intuì gradualmente che anche la sua storia poteva entrare a far parte della salvezza come gli suggerivano quelle righe lette nella sua cella. Il desiderio di una vita diversa cominciava a maturare in lui e così decide di chiudere con la camorra. “Per fare queste scelte c’è bisogno di persone che pensano che gli irrecuperabili non esistono, che credano nella vita e ti accettino così come sei. Ascoltare vuol dire aver rispetto di quel dolore e cercare di dargli una direzione con tanta tanta pazienza. Così sono riuscito a cambiare.”
Da allora ha messo le sue forze a servizio dei più giovani che non hanno gli strumenti per difendersi da questa realtà con il tasso di analfabetismo più alto del Paese. Nasce l’idea di un nuovo progetto, il “Centroinsieme” dove 62 tra bambini e ragazzi hanno la possibilità di studiare. “Ognuno di loro porta con sé un mondo difficile ma non impossibile da affrontare; una pagella da migliorare; un sorriso e una speranza non impossibile da rafforzare.” A un ragazzo della città che voleva entrare nel giro della malavita Davide non ha esitato a dire: “Per fare il camorrista non ci vogliono le palle, basta essere un co****ne”.
Non c’è ombra di dubbio che scelte come queste hanno un prezzo molto caro, spesso la mafia non risparmia persone come lui: “Sono potuto uscire tranquillamente perché non ho ucciso nessuno, non avevo lasciato sangue che poteva richiamare vendetta. I problemi li ho avuti quando ho cominciato a girare per le scuole e a dire che noi siamo la paura della mafia. A Modena per esempio feci una mostra fotografica, il giorno dopo l’inaugurazione fu distrutto tutto.”
Quello di Scampia è “un laboratorio di vita alternativa” uno schiaffo a chi crede che le periferie di Napoli siano solo in mano alla camorra. “Nella società c’è un problema di fondo: i ricchi non vogliono cambiare niente di questo mondo. I giovani oggi per ritrovare se stessi devono andare dai poveri perché sono loro la nostra salvezza, la nostra vocazione e la nostra fede. Quello che insegniamo ai bambini è che la vita comincia a finire quando diventiamo silenziosi sulle cose importanti”.
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