Bahrain, un piccolo Stato situato su un arcipelago di 33 isole vicino alle coste occidentali del Golfo Persico. Meta turistica inserita nelle rotte crocieristiche, è uno di quei posti dove sogni vacanze e pensi che tutto sia benessere e tranquillità. Ma non è così, o almeno non solo così. Nabeel Rajab lo sa bene, un attivista dei diritti umani in carcere per aver pubblicato alcuni tweet in cui denunciava le torture compiute dalle forze di sicurezza e criticava le operazioni militari dell’Arabia Saudita in Yemen.
Era stato scarcerato per problemi di salute dopo l’arresto nel 2012, ma è stato da poco rimesso in cella. Le autorità hanno respinto le richieste della difesa, che aveva avanzato istanza di scarcerazione e proscioglimento da ogni accusa. Ong e attivisti pro-diritti umani hanno lanciato un appello alle autorità del Bahrain, perché “fermino immediatamente il processo” a carico di Rajab, il quale rischia fino a 15 anni di galera “per accuse che violano il suo diritto di libera espressione”. Mantenere in cella Nabeel Rajab per le critiche alle autorità del Bahrain, aggiungono, è segno del “profondo disprezzo” della famiglia al-Khalifa “per i diritti umani di base”.
Rajab, uno sciita, originario del villaggio di Bani Jamra, nei pressi della capitale Manama, ha guidato molte proteste contro il potere di Al Khalifa, chiedendo maggiore democrazia e libertà civili. “ La prigione per me è stata un’esperienza nuova e all’inizio non è stato semplice – ha raccontato tempo fa a Front Line Defenders -. Ero un uomo rispettato da tutti nella mia comunità e a livello internazionale, ho vinto diversi premi, e all’improvviso mi sono ritrovato ad essere imprigionato, ammanettato, umiliato, e torturato. È stato un cambiamento drastico, e sono rimasto sotto choc per diverso tempo. Ma poi mi sono abituato, ho dovuto imparare ad abituarmi a questa situazione”.
“Ce l’ho fatta – prosegue – perché sapevo di avere una missione, una battaglia da continuare, per la mia gente, per la democrazia, per la giustizia, per i diritti umani. Avere quest’idea, questo piano in mente, fa sì che la tua vita abbia un significato, ti dà una ragione per continuare a vivere, ed essere forte. È così che sono riuscito a sopportare tutti i maltrattamenti e restare forte. Grazie a Dio, la prigione non mi ha sconfitto, sono stato io a sconfiggere la prigione”.
La questione dei diritti umani è un fronte aperto in questa periferia, poco nominata dai media internazionali. Circa 4000 oppositori politici sono in carcere, e denunciano torture e arresti arbitrari.
Lo scorso 4 settembre, in una lettera pubblicata sul New York Times, Nabeel ha chiesto al governo americano: “E’ questo il tipo di alleato che vogliono gli Stati Uniti? Un alleato che punisce il proprio popolo per pensare in modo critico, e proibisce ai propri cittadini di esercitare i loro diritti fondamentali?”. In seguito a quest’articolo, le autorità del Bahrain hanno aggiunto un ulteriore capo d’accusa nei confronti dell’attivista. Nabeel è stato accusato di “aver minato il prestigio” del Bahrain e rischia ora un ulteriore anno di carcere.