Spuntano come funghi a ogni stagione marittima. Nella migliore delle ipotesi su iniziativa di qualche “furbetto” vicino ad amministrazioni compiacenti, nella peggiore su input di vere e proprie cosche criminali. Sono gli stabilimenti balneari illegali, un business a basso costo e alti guadagni su cui ormai da qualche anno le mafie hanno allungato le mani.
Il dossier
Negli ultimi 5, riporta il dossier “2017, Odissea nella spiaggia“, presentato dai Verdi, 110 “lidi” sono stati strappati al malaffare dalle forze dell’ordine. Non solo al Sud, ma anche al Nord e al Centro, litorale romano compreso. Tra il 2013 e il 2014, ad esempio, nell’ambito dell’inchiesta “Mondo di mezzo” (quella di Mafia Capitale) tra i beni confiscati a Massimo Carminati c’erano anche due stabilimenti di Fiumicino. Negli stessi anni è stata smantellata una rete di attività illecite riconducibili ad alcuni “lidi” di Ostia, facenti capo al clan Fasciani-Spada-Triassi. Qualche anno prima (nel 2011) la magistratura di Cosenza aveva disposto il sequestro di terreni, fabbricati, alberghi, stabilimenti balneari e pizzerie in Emilia Romagna. Tutte attività, secondo i pm, riconducibili alla ‘ndrangheta. Nel 2015 in Campania, con l’operazione “Savoia” il nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Salerno ha eseguito un sequestro preventivo di beni, per un valore complessivo di 8 milioni, disposto dalla locale Dda. Tra le strutture sottoposte a vincolo giudiziario c’era anche lo stabilimento “Bagni Savoia“, situato sul lungomare di Pontecagnano Faiano. Business simili sono stati, negli anni, scoperti anche in Sicilia, Veneto, Puglia e altre regioni.
Affari d’oro
Ma cosa spinge le mafie investire in ombrelloni, sdraio e lettini? Innanzitutto, spiega il dossier, il racket balneare consente ai clan di riciclare denaro proveniente da attività illecite. In secondo luogo si tratta di un giro d’affari particolarmente remunerativo. Il costo di una concessione demaniale è, infatti, irrisorio, tanto da incidere sul fatturato di una stabilimento in misura inferiore all’1%. Le tariffe dei canoni di affitto sulle aree demaniali, spiegano i Verdi, “sono ricavate attraverso l’applicazione del Dm 342/98 ‘Regolamento recante norme per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative’. Con questo regolamento si individuano 3 aree della costa italiana per l’applicazione dei canoni: fascia A, alta valenza turistica, fascia B, normale valenza turistica, fascia C bassa valenza turistica. In tutta Italia i canoni applicati sono quelli della fascia B, ovvero bassa valenza turistica”. In sostanza: un gestore paga pochissimo la concessione a fronte di lauti guadagni. L’accesso allo stabilimento costa mediamente tra i 2 e i 6 euro, cui va aggiunto l’esborso per il noleggio di ombrelloni, lettini, sdraio e cabine, piuttosto elevato se raffrontato a quanto un villeggiante spende per gli stessi servizi in altri Paesi europei (come Spagna e Grecia per citarne due). Ci sono poi gli affitti stagionali, corrisposti da quanti soggiornano in una certa area marittima per periodi medio-lunghi (pensiamo ai pensionati ad esempio). Riservarsi una cabina per l’estate costa tra i 1.500 e i 3.000 euro e può portare i guadagni del lido anche a 300 mila euro l’anno. Ciò porta il fatturato totale di tutti i lidi italiani, secondo i calcoli dei verdi, a circa 10 miliardi per ogni stagione.
L’erario piange
Il sistema, per come è strutturato, determina un ingente mancato guadagno per l’erario. Se la legge fosse applicata correttamente, sottolinea il dossier, “l’introito dello Stato italiano per l’affitto delle sue coste e spiagge sarebbe molto maggiore (almeno 280 milioni di euro) rispetto ai 101 milioni di euro effettivamente incassati nel 2014 con un mancato introito pari al 55%“.
Onesti e non
Tracciato il quadro occorre fare un distinguo. Se è vero che il sistema, per come è strutturato, è poco conveniente per lo Stato è anche vero che esso non può rappresentare l’occasione per puntare il dito contro le centinaia di imprenditori balneari onesti. I quali, legittimamente, fanno il proprio mestiere. E rischiano di essere schiacciati da una concorrenza criminale. I meccanismi attraverso i quali la mafia entra in possesso di queste strutture sono sostanzialmente tre: attentati per convincere i gestori a cedere le attività, tentativi di corruzione per avere le concessioni, rilevazione delle aziende dopo pratiche di usura. Territori che, poi, difende con ogni mezzo, mentre clienti inconsapevoli si fanno cullare dalle onde del mare.