Guerre, dittature, persecuzioni. E ancora fame, carestia e morte. I profughi sono milioni (43, secondo i dati forniti dall’Unchr, l’Alto rifugiato per i diritti umani – agenzia specializzata dell’Onu) e disposti a tutto pur di fuggire da quell’orrore quotidiano. Di questi, 11 milioni provengono dall’Africa e 3.4 milioni dall’Africa sub Sahariana.
Portano con loro un bagaglio di ricordi e di speranze, di violenze e paure. “Una notte sono arrivati due uomini nella casa abbandonata al confine fra la Libia e la Tunisia in cui ci avevano fatto sistemare in attesa di partire per il mare – ha raccontato Blessing, una ragazza di 18 anni, eritrea, portata nel Centro di prima accoglienza di Lampedusa -. Eravamo una quarantina e queste persone, che indossavano una divisa, mi hanno preso e portata via con la forza. Sono stata condotta in una casa disabitata dove hanno iniziato a violentarmi”.
C’è poi la storia di Paul, 24 anni, che in Nigeria ha lasciato genitori e fratellino: ogni tanto li sente ed è il fratellino, via whatsapp, a spedirgli foto dalla sua città. Ma non ci sono i selfie a cui siamo abituati in Occidente, con risate e pose serene. Sono corpi immersi nel sangue, persone uccise con la motosega, il cadavere di un ragazzo con un buco sul torace o quel che resta di uomini arsi vivi. Immagini terribili degli abomini di Boko Haram, dai quali Paul è scappato.
Il terribile viaggio per raggiungere la costa libica lo racconta Fatia, una 17enne somala, anch’essa vittima di abusi. “Siamo partiti dal mio Paese a piedi – ricorda la ragazza – eravamo un gruppo di cinquanta persone. Abbiamo attraversato il deserto del Sudan. E proprio qui, gli uomini che guidavano la spedizione, ci hanno chiesto di avere altre somme di denaro per proseguire il viaggio, che già avevamo pagato anticipatamente, altrimenti ci avrebbero lasciato morire nel deserto. Alcuni di noi avevano da parte qualcosa e abbiamo pagato, altri non hanno potuto, e qualche donna che non aveva somme di denaro è stata violentata, pur di poter proseguire il viaggio”. Uno schiaffo alla dignità della persona umana.
E’ lungo l’elenco dei Paesi da cui provengono i migranti: Angola, Burundi, Chad, Congo, Eritrea, Etiopia, Liberia, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria, Repubblica centro africana, Ruanda, Senegal, Sierra Leone, Somalia, Sudan (Sud Sudan), Uganda, Yemen. I Paesi della fascia mediterranea (come Algeria, Tunisia ed Egitto, solo per citarne alcuni) rappresentano ancora una parte importante di coloro che tentano la traversata del Mare Nostrum. Senza dubbio sono i paesi della fascia sub Sahariana a generare la mole più elevata di persone in fuga. Tra questi vi sono l’Angola, il Congo, la Repubblica Centro Africana o il Niger e la Nigeria,
I motivi dell’esodo? Persecuzioni religiose (Isis, Boko Haram) o etniche in Paesi come Siria, Iraq, Eritrea e paesi limitrofi; instabilità in Libia. Nell’entroterra infuriano le guerre civili per il controllo di materie prime, come diamanti, oro, platino, petrolio, gas, uranio (è ampio l’elenco dei cosiddetti Rem, ovvero Rare earth materials, disponibili in questi paesi).
Per arrivare in Europa per lo più si sbarca sulle coste italiane, il punto di arrivo di una delle principali rotte percorse dagli emigranti africani: quella che parte dall’Africa orientale e raggiunge la Libia risalendo il Sudan. Dall’Africa occidentale, invece, di solito gli emigranti confluiscono in Mauritania e di lì si dirigono in Marocco per imbarcarsi alla volta della Spagna o dirigersi anch’essi in Libia.
Per coloro che devono attraversare il deserto del Sinai li aspetta l’inferno. Lì esiste un vero e proprio traffico di merce umana avviato dai Rashaida, una tribù sudanese. Sequestrano le persone per chiederne il riscatto oppure rivenderli ad altre tribù, egiziane queste ultime, che a loro volta ne trattano il riscatto o vendono ad altri la “merce” che, di passaggio in passaggio, acquista sempre più valore fino a raggiungere le decine di migliaia di dollari. “Quando chiamano per chiedere i soldi – racconta la dottoressa Alganesh Fessaha, eritrea, che lavora per l’organizzazione non governativa Gandhi e da anni si occupa dei propri connazionali in difficoltà – i prigionieri vengono picchiati, viene loro versata addosso dell’acqua, poi viene attaccata la corrente così che le scosse elettriche li facciano urlare di più”. Il destino di chi non ha nessuno che sia in grado di riscattarlo è terribile. Finisce i suoi giorni come schiavo, costretto a lavorare in condizioni inumane nei campi e altrove. Altrimenti viene ucciso per espiantarne gli organi e venderli al mercato nero al Cairo. Neanche i bambini vengono risparmiati.
In questo contesto sono gravissime le responsabilità della comunità internazionale, perché queste persone fuggono da Stati dove non c’è libertà, né diritti, né economia; dove l’estremismo religioso s’impone con il terrore. Tutto però si muove tra l’indifferenza dei governi occidentali e la spietatezza dei regimi locali; sostenuti, quest’ultimi, non solo da America ed Europa, ma anche dalla Russia, dalla Cina, sia per accedere a fonti energetiche che per foraggiare il business della vendita delle armi. Dunque materie prime, armi, traffico di organi, nuovi schiavi: dietro all’esodo – che spesso si conclude in mattanza – c’è questo enorme business. Gestito ipocritamente dai governi occidentali, che non avendo interesse a intervenire nei Paesi d’origine creano le condizioni per la migrazione forzata. Uno, cento, mille morti in più non fanno differenza.