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COME SONO STATO ADDESTRATO DALL’ISIS

Nove giorni di indottrinamento, insieme ad altre duecento reclute provenienti da ogni parte del globo: dal Belgio alla Turchia, dalla Svezia alle Mauritius (gli italiani convertiti si stima siano circa cinquantamila). La giornata comincia sotto il segno delle armi: “Ci svegliavano a colpi di kalashnikov”, racconta il giovane Ali. La prima colazione, a base di datteri, è seguita dagli allenamenti sportivi, nuoto nel fiume Eufrate, footing, stretching, per passare poi ai corsi di indottrinamento. Un vero e proprio lavaggio del cervello mascherato dal nome di “dottrina religiosa e politica”. Ali è un giovane francese ex militante dell’Isis, fuggito prima dal Vecchio continente in cerca dell’Islam e poi successivamente dagli orrori di una “fede” lontana dalla religione. Si è convertito in un carcere parigino, dove ha maturato la decisione di partire per la Siria a combattere contro i nemici del Corano. Al suo arrivo in città le prime restrizioni: passaporto sequestrato e un interrogatorio che dura due giorni.

Per nove giorni sempre la stessa giornata, fino al momento del giuramento finale ai dettami dell’Isis e il successivo addestramento militare. Sveglia alle quattro del mattino, poi la preghiera, due sessioni di addestramento e una lezione di Corano. Nel pomeriggio l’addestramento con le armi. Ma non ci sono solo adulti e giovani, ma anche bambini. Violenza, armi e Corano: i piccoli vengono addestrati a usare fucili e a sacrificarsi al grido di “Allah u Akbar”. Pregano e vengono indottrinati all’ideologia terrorista. Sono presi a pugni e calci dal loro maestro ma non piangono, qualcuno addirittura sorride.

Questi giovani sanno che con questi allenamenti si preparano a diventare martiri, uno schiaffo all’innocenza dell’infanzia. Si allenano a tagliare teste alle bambole per farlo più tardi agli esseri umani. Il papà di uno di loro ha raccontato di aver subìto minacce di morte quando ha tentato di impedire che il figlio di tredici anni venisse reclutato. Si stima che vi siano circa duecentomila militari jihadisti, di cui cinquantamila solo in Siria.

Scene come queste se ne vedono tutti i giorni a Raqqua, la capitale dell’autoproclamato stato islamico. È stata la prima città siriana a cadere, nel 2013, sotto il controllo di quelle che erano definite le forze ribelle siriane. Per celebrare la loro vittoria demolirono la statua dell’ex presidente siriano Hafiz al-Asad, nella piazza centrale della città. La stessa che oggi i militanti dell’Isis utilizzano per giustiziare ed esibire le teste mozzate dei nemici. La prima misura imposta dai miliziani agli abitanti di Raqqa è stata la pratica rigorosa della religione.

Terminato il periodo di addestramento, Ali viene assegnato alla polizia islamica. Un lavoro di routine che consiste nel “controllare i cittadini, fare multe, bloccare le risse”. L’incarico al giovane però non piace. Descrive lo scenario di un Welfare State: cure gratuite, vengono offerti trecentomila dollari per l’acquisto di una casa e di un auto, con un salario minimo di 90 dollari. Anche se gode di una vita agiata, lui vuole fuggire, disgustato da quello che ha visto: un quattordicenne sgozzato perché non aveva terminato la preghiera, le brutali esecuzioni in piazza, incluse quelle degli omosessuali fatti precipitare dai tetti dei palazzi più alti. Uomini accusati di stregoneria decapitati con la sciabola e i cadaveri lasciati in strada a marcire con l’etichetta che spiega i motivi dell’esecuzione. Ogni giorno sempre le stesse immagini: morte e preghiere.

Dopo l’ultima orazione del giorno, alle dieci di sera, i militanti si ritirano nei loro letti. Alì non ci vuole più stare a Raqqua, vuole tornare a casa. ma ha paura a chiederlo, teme di essere giustiziato.

Inaspettatamente, però, il califfato gli concede la possibilità di tornare in Europa. Gli hanno anche consegnato 500 dollari per acquistare il volo di ritorno. Ora è sorvegliato speciale in un carcere francese, di nuovo in cella, stavolta con l’accusa di terrorismo. Sognava di poter vivere in armonia con i precetti dell’Islam nella capitale del califfato, ma ha trovato solo violenze e barbarie. “Non erano musulmani, un musulmano non può commettere tali atrocità”. In molti dubitano delle sue parole, ma lui sostiene che è tutto vero. “Quello che ho visto in Siria non è religione, è barbarie. Non ho ucciso, non voglio farlo. Ora voglio solo una vita normale, dimenticare”.

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