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Charlie Hedbo, la tesi del complotto non regge

Ora diventiamo tutti esperti di terrorismo, di forze speciali. E dopo i fatti di Parigi ecco tornare subito le tesi complottiste. Atteggiamento questo, figlio della paura. Per un verso la difficoltà di prendere consapevolezza della nostra fragilità porta molti a sostenere che è tutto frutto di un restroscena misterioso ordito da quache manina crudele. Dall’altra parte ci sono gli specialisti della cospirazione, quelli che – e guarda un po’ tra i primi ci sono i francesi – parlarono di macchinazione arricchendo le loro tesi con tanto di presunte prove per demolire la verità nota sull’11 settembre.

L’angoscia scatena il parto di questi tesi; causata dalla disinformazione fatta dai tanti che in questi anni hanno messo alla berlina chi provava a denunciare la crescita di questo fenomeno; oggi sono diventati tutti pseudo-esperti, inanellando una serie di luoghi comuni, gaffe tecniche e vere e proprie baggianate. Le scrivono sui giornali, affollano i talk show televisivi.

La realtà non è come in un telefilm americano. Attacchi terroristici così come li viviamo oggi nascono in realtà diverse, con uomini che li mettono in atto che hanno diverse esperienze, preparazione particolare. Vengono indottrinati, istruiti all’uso delle armi, ma non hanno spesso un addestramento elevato, da forze speciali per intenderci. Sanno maneggiare un kalashnikov, ricaricare l’arma muovendosi. Una preparazione mediamente migliore di quella di un poliziotto di strada e sicuramente di un Gendarme di Parigi.

Ed ecco il primo grande dubbio: il poliziotto Ahmed ucciso a distanza ravvicinata non presenta la testa devastata e non si vede il sangue. Ma chi ha detto che gli hanno sparato alla testa se non il telecronista che per dare enfasi alle immagini ha sentenziato che mentre il poliziotto alzava le mani i terroristi “lo giustiziano con un colpo alla testa”? Le immagini però sono chiare: l’uomo in nero punta l’Ak47 contro il corpo dell’uomo, e lo fa perché sta camminando e non può mirare quindi spara al bersaglio grosso. Non c’è sangue sostengono i dubbiosi ma le immagini non si soffermano più di un secondo e il sangue non è che zampilli attraverso i vestiti.

Qualcuno dice perché il gendarme non ha sparato? Perché è a terra ferito e lui – come detto – non è addestrato come un commando: è solo un agente, e pensa che basti arrendersi. Quelli che aveva davanti però non sono semplici banditi, ma jihadisti pronti a morire loro stessi.

E diventa momento di dubbio anche la presenza del telefonino che riprende. Chi sostiene questi tesi sembra viva nell’Ottocento. Oggi tutti e ovunque hanno uno smartphone con il quale fare foto o riprendere. Chi non ha visto appena pochi giorni or sono le immagini girate durante il rogo del traghetto Norman Atlantic. I naufraghi stavano per morire eppure riprendevano la situazione. Che dire di questo allora?

L’altro motivo di sospetto è il fatti che uno dei due fratelli Kouachi abbia perso la propria carta di identità nell’auto usata per l’attentato. Certo un errore, ma possiamo anche pensare che i due terroristi presentati con il volto coperto, pensassero forse di farla fanca e quindi una volta al sicuro e lasciate le armi, un documento valido in caso di fermo poteva tornare utile. Mettiamoci in testa una cosa: sono azioni fine a se stesse per chi le compie. Sono l’apice e la fine del loro jihad per cui – dal loro punto di vista – che importa se si scopre chi sono? Anzi. Il mondo deve sapere chi si è fatto shahid (letteralmente “testimone” ma identifica ormai “attentatore”, meglio ancora “martire”).

I dubbi sono leciti quando si parla invece della protezione di Charlie Hebdo. Nessuna videosorveglianza, un solo poliziotto all’interno della sede del giornale, senza giubbotto e senza un’arma lunga. I tre terroristi erano noti alle polizie e ai servizi di intelligence. Non vi è dubbio che la sicurezza ha avuto delle falle. Ma non dimentichiamoci che anche prima dell’11 settembre un report della Fbi e uno della Cia parlava di possibili attacchi ad aerei degli Stati Uniti. Tre dei futuri dirottatori erano stati seguiti e ripresi a Kuala Lumpur. Washington sottovalutò. La Francia lo ha fatto mercoledì.

Dobbiamo prendere consapevolezza che il nuovo terrorismo non teme di perdere vite umane, tutt’altro. Non ha bisogno di piani articolati. Basta indicare obiettivi, fare tanta propaganda che annebbi i cervelli e accogliere, quando lo vogliano, i nuovi proseliti a ospitarli nei loro covi in Africa, Medio Oriente e Asia.

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