Cbm Italia onlus – la sezione italiana della Christian Blind Mission international, la più grande organizzazione umanitaria al mondo nella prevenzione e cura della cecità nei Paesi poveri – ha presentato stamani presso la Farnesina (Roma) i risultati della prima ricerca quali-quantitativa condotta in Italia nel campo dell‘advocacy dal titolo “Comunicare l‘advocacy in Italia”. L’advocacy è un processo politico da parte di un individuo o gruppo di persone che mira a influenzare le politiche pubbliche e l’allocazione delle risorse all’interno dei sistemi sociali e istituzionali attraverso campagne a mezzo stampa, comizi pubblici, sit-in, commissionamento e pubblicazione di ricerche e sondaggi.
In Italia sempre più spesso le Ong e gli enti del Terzo Settore utilizzano questo approccio ampiamente diffuso all‘estero per informare e sensibilizzare l‘opinione pubblica e renderla così partecipe nei confronti della propria missione. La ricerca, condotta da AstraRicerche per Cbm Italia onlus, ha sondato le opinioni degli italiani rispetto alle “buone cause” attraverso due fasi consecutive: la prima di tipo qualitativo (con focus group rivolti ad adolescenti e adulti) e la seconda di tipo quantitativo (con somministrazione di un questionario a un campione di 1.574 persone tra i 18 e 65 anni).
Dalla ricerca emerge che sono molteplici le problematiche sociali alle quali le persone si sentono vicine: sono mediamente 11 a testa e riconducibili a 8 macro-categorie. Le più “popolari” sono quelle legate alle cosiddette “categorie deboli”, la lotta ai maltrattamenti e alla povertà in Italia e nei Paesi in via di sviluppo. L‘indagine mette, inoltre, in evidenza che scegliere quale “buona causa” sostenere non è facile, a volte mancano conoscenza dei progetti, fiducia.
Gli italiani tendono a scegliere le cause più vicine: perché sono stati coinvolti personalmente o hanno interessato amici e familiari, perché sono legate alla loro comunità, perché si tratta di progetti specifici e quindi controllabili. È ben il 60% degli italiani ad essere impegnato – in modo regolare o semiregolare – a favore di qualche associazione che si occupa di buone cause: il 30% a favore di una sola associazione e un altro 30% a favore di più d‘una. Esperienza, coinvolgimento diretto e passaparola di amici e conoscenti sono le principali forme d‘informazione sull‘argomento, utilizzate e ritenute efficaci.
Anche i media classici rivestono un ruolo importante, con trasmissioni televisive, pubblicità e articoli. E come deve essere, secondo gli italiani intervistati, la comunicazione in questo ambito, per essere efficace? “Deve essere informativa – la risposta – ma non in modo asettico, deve stimolare le coscienze, far ragionare e mettere in discussione le proprie convinzioni”. Sono intervenuti alla presentazione: Giampaolo Cantini, direttore generale Dgcs – Maeci, Massimo Maggio, direttore di Cbm Italia onlus, Enrico Finzi, ricercatore sociale e presidente AstraRicerche, Maria Egizia Petroccione, portavoce Cini.