Da oggi è possibile visitare l’appartamento privato del Papa nel Palazzo apostolico di Castel Gandolfo. Il direttore dei Musei Vaticani, Antonio Paolucci, l’ha definito una reggia. Ma nessuno si aspetti una struttura sfarzosa. Piuttosto, un percorso emozionale attraverso le stanze in cui sono vissuti (e in qualche caso morti) numerosi Pontefici. “Non si tratta di un evento storico – ha detto Paolucci nel corso della presentazione – piuttosto di un evento simbolico. E’ come se il Papa avesse detto: ecco, questa è casa mia, veniteci quando volete. E’ un gesto che rappresenta come meglio non potrebbe la “politica”, la pastorale, l’apertura al mondo del Santo Padre al quale semplicemente non interessa una villa suburbana, un capolavoro amato e abbellito, perché deve ricevere e ascoltare tutti nel suo ufficio romano e quindi rinuncia alla reggia e la offre al popolo dei fedeli”.
Ma cosa c’è di speciale in questo complesso? Secondo Paolucci è il connubio tra la “bellezza dell’arte monumentale e la bellezza naturale che c’è fuori. Guardare dal terrazzo e dalle finestre il miracolo della natura, rimasta intatta proprio perché qui c’era il Papa, è un’esperienza stupefacente, emozionante”.
All’evento era presente anche Osvaldo Gianoli, direttore delle Ville Pontificie in cui lavorano 55 persone, 32 nel settore agrario (ovvero la fattoria che rifornisce quotidianamente la mensa del Papa e lo spaccio in Vaticano) e il resto nel settore tecnico.
Cosa rappresenta questa apertura?
“Il Papa ha voluto condividere questo bene comune per tutta l’umanità. Un po’ come la basilica di S. Pietro: è vero, è nella disponibilità della S. Sede ma in realtà è di tutti. Questo luogo in qualche misura ha una condizione analoga ed è bello che il S. Padre abbia voluto creare questa opportunità”.
Ma i visitatori sapranno apprezzarlo? Cosa troveranno di particolare, di curioso?
“Ognuno ha la sua sensibilità, dunque c’è il turista che preferisce i giardini italiani, chi la fattoria, chi ammira la veduta dalle terrazze… Ogni visitatore ha il suo modo di leggere questo grande contenuto. Quanto al gradimento, i numeri parlano da soli: nel 2014, quando abbiamo aperto i giardini, sono venute 10.000 persone, nel 2015 sono diventate 26.000 e quest’anno siamo già a 46.000”.
Quando sarà aperto il Palazzo e quanto costerà la visita?
“L’apertura è dalle 9 alle 13 dal lunedì al venerdì e il sabato fino alle 16.30. Il biglietto per il solo Palazzo costa 10 euro, la visita con il trenino 20 e la visita a piedi nei giardini con la guida ne costa 26 con prenotazione obbligatoria. Ma ci sono varie modalità e ogni informazione si può trovare sul sito www.museivaticani.va E’ possibile, e consigliabile, la prenotazione on line ma abbiamo anche allestito una biglietteria all’ingresso del nuovo museo”.
La decisione di non utilizzare più la residenza estiva è definitiva?
“Lo è fino a quando il Papa non deciderà altrimenti. Del resto il titolo di Villa Pontificia conferito nel Settecento non è stato revocato”.
In occasione della presentazione c’è stato anche un breve concerto, intitolato “La bellezza ci unisce”, di musiche popolari cinesi. Il comparto musicale della Guangzhou Opera House ha accompagnato la performance di un maestro dell’arte calligrafica cinese, Cui Zimo, che ha realizzato una sua interpretazione di “Anima Mundi”, l’idea che ha ispirato il riallestimento delle collezioni del Museo etnologico dei Musei Vaticani, dove sono ospitate opere dei popoli e delle culture dei cinque continenti.
Ospiti speciali, come ci ha spiegato il cardinale Bertello, presidente del Governatorato della Città del Vaticano e membro del Consiglio dei nove che assiste il Papa nella riforma della Curia: “La presenza di questo coro rientra in questo scambio di beni culturali che stiamo portando avanti da diversi mesi, in particolare ai Musei”.
Una porta aperta alla Cina?
“Sì, sono semi che si gettano, ponti che si lanciano. Il titolo stesso del concerto illustra bene il concetto. Nei nostri Musei c’è la bellezza, la storia cinese attraverso l’arte”.
Ma questo prelude a un riallacciamento delle relazioni diplomatiche?
“Questo non compete a me dirlo. Mi auguro di sì. I rapporti con le istituzioni culturali cinesi vanno avanti da tempo”.
Eminenza, mancherà il legame tra la popolazione di Castel Gandolfo e il Pontefice?
“Beh, è inevitabile. Però con questa apertura molti visitatori avranno la possibilità di ammirare questa bella cittadina”.
Qualcuno un po’ polemicamente in questi giorni ha detto che di questo passo sarà aperto al pubblico anche il Palazzo Apostolico in Vaticano: “Lasciam cantar le passere…” è la risposta del cardinale che non ammette repliche.
Dunque clima di grande euforia che tuttavia il sindaco (non le piace essere chiamata sindaca…) di Castel Gandolfo condivide solo in parte: questa apertura al pubblico del Palazzo è una compensazione per la mancata presenza del Papa? Milvia Monachesi ci pensa un attimo prima di rispondere: “Sì… Oggi sono qui con due sentimenti contrastanti: da una parte la tristezza, perché temo che sia la fine di una storia, di un percorso per noi fondamentale; dall’altra gratitudine perché l’apertura è una cosa unica che porterà ulteriore turismo. Il Papa ha fatto un regalo all’intera comunità mondiale”.
E in effetti, più delle opere d’arte che contiene, il Palazzo regala molto sul piano emotivo. Perché è possibile attraversare gli stessi corridoi percorsi dai Papi, i saloni di rappresentanza, lo studio con il tavolo di lavoro (in un angolo c’è ancora una piccola bandierina bavarese), la biblioteca in cui dialogarono per la prima volta Benedetto XVI e Francesco. E poi la camera da letto in cui hanno dormito molti Pontefici e dove si sono spenti Pio XII e Paolo VI, dove durante la guerra hanno partorito tante donne sfuggite alle bombe e alle rappresaglie grazie a Papa Pacelli, per finire con la cappella in cui per la prima volta nella storia due Papi, uno regnante e uno emerito, si sono inginocchiati insieme per pregare. Non sarà un evento storico, come ha detto Paolucci, ma in quelle stanze la storia si respira ad ogni passo con tutte le emozioni che sa regalare.
Foto di Fabio Beretta