BABY SCHIAVI IN CONGO: LE COLPE DELL’OCCIDENTE

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“Botte e ricatti. Io e la mia famiglia siamo stati minacciati e depredati delle nostre cose più volte. Mi hanno anche offerto 33 mila dollari per stare zitto perché pensavano che fossi io ad organizzare tutti gli scioperi. Facevamo scioperi dove i partecipanti venivano picchiati dalle autorità, messi in prigione, ma quegli stessi poliziotti non capivano che ci battevamo anche per i loro diritti. Tante volte durante le mie lezioni ho visto bambini crollare per la fame, tra cui anche figli di soldati e poliziotti mal pagati dallo Stato. Il diritto dei bambini ad andare a scuola è fondamentale in Congo“.

Costretto alla fuga

Pierre Kabeza, laureato in biologia, era un insegnante nel suo Paese ma le forze governative lo volevano far fuori proprio perché voleva insegnare agli studenti cosa vuol dire libertà. È stato costretto a scappare sei anni fa da Bukavu nella regione dei Grandi Laghi senza poter portare con sé sua moglie e le sue figlie. Oggi vive nel nord Italia ed è stato riconosciuto come rifugiato. Per la politica non avrebbe dovuto fondare il sindacato degli insegnanti per tutelare il diritto al salario dei docenti e, soprattutto, il diritto ad andare a scuola dei bambini.

E a distanza di tanti anni la situazione non è cambiata anzi vengono perpetrate violenze inaudite sulle persone, stupri frequenti sulle donne con un tasso di Aids che ha raggiunto il 20% nella popolazione nelle province orientali. “Sento la mia famiglia spesso e mi raccontano che in certe zone c’è ancora gente trascinata fuori dalle chiese dai militari”. Spiega questo insegnante che ha ancora grinta per denunciare le ingiustizie nella sua terra. “Donne e bambine violentate davanti agli occhi di tutti. Separate poi a forza dalla propria gente e dai propri villaggi, perché i bimbi che partoriscono saranno cresciuti e addestrati per diventare soldati”.

La voce della Chiesa

Il Vaticano non ha mai cessato di tentare la via del dialogo per arrivare al più presto alle elezioni politiche. I primi di febbraio a Brazzaville aveva firmato l’Accordo Quadro che garantiva alla Chiesa la possibilità di svolgere la propria missione nel Congo con la presenza di diversi Ordini religiosi impegnati per il benessere spirituale e materiale della popolazione e in particolare al fianco dei bambini di strada. Ciononostante non sono mancati attacchi contro le strutture ecclesiastiche a Kinshasa, nel Kasai e anche a Lubumbashi. Nel mese di marzo anche due esperti inviati dalla Nazioni Unite per investigare sulle fosse comuni sono stati uccisi. Una di loro decapitata. Papa Francesco aveva denunciato nell’Angelus a metà febbraio l’utilizzo dei bambini soldato in Congo e di nuovo il 2 aprile ha rivolto un accorato appello per la pace. “Continuano a giungere notizie di sanguinosi scontri armati nella regione del Kasai della Repubblica Democratica del Congo… esorto tutti a pregare per la pace, affinché i cuori degli artefici di tali crimini non rimangano schiavi dell’odio e della violenza, perché sempre, odio e violenza distruggono“.

Ma se già la situazione nella Repubblica Democratica del Congo era precipitata a dicembre quando il presidente Kabila, a fine mandato, non aveva lasciato il potere, impedendo le elezioni, oggi lo stallo politico sembra ancora più evidente da quando è stato nominato primo Ministro Bruno Tshibala, che è un esponente di una sola parte dell’opposizione. A fine aprile i vescovi congolesi hanno denunciato la situazione in quanto la nomina senza il consenso di tutte le parti in gioco è “una distorsione dell’Accordo di San Silvestro e spiega la persistenza della crisi”. Sembra ormai venir meno infatti il principio delle elezioni presidenziali, legislative e provinciali entro il dicembre 2017.

Le colpe dell’Occidente

Secondo il professor Kabeza il problema è che alle economie occidentali conviene lasciare il Congo in questo immobilismo politico. “Il vero problema del Congo è il Coltan che serve per la fabbricazione di componenti elettronici che si trovano nei televisori, nei computer, negli smartphone. È per questo che anche i media occidentali non ne parlano mai. Quello che succede nel nostro Paese rimane nascosto, nessuno può dire la verità”. Molte risorse naturali nella Repubblica democratica sono di vitale importanza per le nostre economie, soprattutto il Coltan (una miscela di due minerali che si trovano molto raramente allo stato puro e del quale il Congo detiene il 60 % delle risorse mondiali) utilizzato nel settore automobilistico, aerospaziale, high-tech ed elettronico. I principali importatori? Stati Uniti, Europa, Cina.
Poi c’è il cobalto, un elemento chimico che non si trova allo stato naturale ma solo come minerale (il Congo produce la metà della quantità a livello mondiale) e col quale si ricava il litio per le batterie di cellulari, computer portatili e auto elettriche. Il recente Rapporto di Amnesty “This is what we die for” (Ecco per che cosa moriamo) ricostruisce il percorso del cobalto estratto nel Congo e rivenduto dalla Congo Dongfang Mining, attraverso un colosso cinese del settore minerario, delle 16 aziende che lo utilizzano due hanno respinto l’evidenza di rifornirsi di cobalto dal Congo, sei hanno promesso indagini, le altre “non riescono a dire dove e in che condizioni di lavoro si procurano le materie prime”.

I bambini vittime principali del conflitto

In Congo risultano malnutriti due bambini su cinque ovvero due milioni. Migliaia sono invisibili dato che solo il 25% è registrato allo stato civile. I continui conflitti armati fra le diverse fazioni politiche hanno causato più di 1 milione di sfollati dall’inizio del 2017 e in alcune regioni sono anche state distrutte le scuole e i Centri sanitari. Secondo le osservazioni del Consiglio norvegese per i rifugiati, l’Nrc “La crisi del Repubblica democratica del Congo, in gran parte dimenticata, ha superato tutte le altre crisi in termini di numero di persone costrette a fuggire”. Gli scontri e le violenze continuano in particolare nella provincia centrale del Kasai e più della metà degli sfollati fuggono invece dal Nord Kivu e dal Sud Kivu.

Ma sono i bambini congolesi le prime vittime. “Ci sono bambini che non sanno più di chi sono figli, perché rimasti orfani – spiega l’insegnante – oppure perché nati da madri vittime di violenze sessuali. Sono considerati stregoni e chiamati ‘serpenti‘”. Semplicemente perché nascono con dei difetti fisici oppure per la vita di strada a cui sono costretti e per la malnutrizione soffrono di anemia, di sonnambulismo o di enuresi notturna. Secondo le credenze sempre più diffuse, anche dal moltiplicarsi di sette religiose attraverso i canali televisivi e le radio che molte di loro possiedono, questi sono segnali di stregoneria. Sono quindi accusati di essere portatori di malocchio perché in contatto con gli spiriti del male. Alcuni sono addirittura bruciati vivi. La maggioranza finisce sulla strada, dopo avere subito torture fisiche e obbligati ad abbandonare la città per sopravvivere. Gran parte dei bambini di strada vengono dal Kasai Orientale. La loro condizione è disumana. Per arrivare a Kinshasa o Lubumbashi percorrono anche 1000 km a piedi, nascosti nei camion, nel treno, nei battelli. Molti durante il tragitto muoiono per incidenti o violenze. Altri rimangono mutilati o vengono rapiti e destinati al traffico di minori. Tantissimi sono utilizzati nelle miniere di coltan, lavano a mano le pietre estratte e le trasportano nella giungla camminando anche per due giorni. I bambini minatori massimo guadagneranno 1 – 2 dollari al giorno, più spesso un uovo e pochi fagioli.

Baby soldato

Ci sono infine i bambini soldato, i “Kadogo” nei dialetti locali. Oltre 60.000 nel solo Congo di cui oltre il 35 per cento bambine, in grande maggioranza concentrati tra i circa 400 gruppi armati delle regioni del Kivu affacciate ai grandi laghi. “Senza garantire l’istruzione e una vita degna per tutti questi piccoli, il fenomeno può ancora peggiorare” denuncia Kabeza. Per i militari infatti sono ottimi soldati perché obbediscono facilmente, sparano, uccidono, rubano senza fare troppe domande. Anche i media europei dovrebbero denunciare questo mare di schiavi senza identità, bambini di 6 – 7 anni in miniera, bambine di 11 anni violentate nei bordelli e addestrate alla guerra, madri abbandonate con 10 figli che perdono la vita già a trent’anni. “Finché le nostre risorse serviranno alle industrie di Cina, America ed Europa anche i media occidentali continueranno a lasciare la nostra terra e le sue ingiustizie nel silenzio”.

Beatrice Cola: