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ASSISI, SETE DI PACE

Quella locomotiva sta ancora correndo. Sono altri tempi, ma resta il simbolo di un percorso che prosegue pur nelle difficoltà. Era il 24 gennaio 2002 quando Giovanni Paolo II si recò in treno da Roma ad Assisi assieme ai rappresentanti delle Chiese cristiane e di diverse religioni mondiali. Quattro mesi prima c’era già stato il tragico 11 settembre negli Usa, con tutte le sue conseguenze. L’allora cardinale Ratzinger raccontò l’evento avvenuto nella cittadina umbra scrivendo che non era stata “un’autorappresentazione di religioni che sarebbero intercambiabili tra di loro”. “Non si è trattato di affermare un’uguaglianza delle religioni, che non esiste – aveva aggiunto –. Assisi è stata piuttosto l’espressione di un cammino, di una ricerca, del pellegrinaggio per la pace che è tale solo se unita alla giustizia”. Tutto nacque sedici anni prima, nel 1986, allorché il Papa polacco istituì la storica preghiera interreligiosa nella terra natale del “santo Poverello”.

Un lungo tragitto che arriva fino ad oggi – trent’anni dopo – con il Pontefice giunto dalla “fine del mondo” a celebrare lo “spirito di Assisi”. Uno schiaffo a chi crede che la logica della divisione e dell’aggressione perpetrata dai tanti “signori della guerra” debba essere quella vincente. L’edizione del 2016, intitolata “Sete di pace – religioni e culture in dialogo”, ha già visto la presenza del filosofo Bauman, del presidente Sergio Mattarella e del suo collega centrafricano Touadera. Molto nutrita la rappresentanza di tutte le confessioni: oltre 450 i leader religiosi, tra cui cristiani, musulmani, ebrei, buddisti, scintoisti, giainisti, zoroastriani, sikh e induisti. È record anche la partecipazione dei musulmani con 26 delegazioni sia sciite che sunnite.

Nonostante il grande numero di persone, la tre giorni di Assisi non è e non sarà mai una “insalata di esperienze religiose”, come si è affrettato a precisare monsignor Sorrentino. Per evitare ogni rischio di “sincretismo fondato sul relativismo”, infatti, le diverse comunità di fede hanno momenti di preghiera separati, ognuno in un luogo distinto. Molto significative, inoltre, sono state le testimonianze di ben 6 premi Nobel per la pace: la cattolica nordirlandese Mairead Maguire; il presidente emerito polacco e leader di Solidarność Lech Walesa; l’attivista americana per i diritti umani e direttrice della campagna sulle mine antiuomo Jody Williams; la leader della Primavera araba in Yemen, Tawakkul Karman; Hassine Abassi e Amer Meherzi, paladini della democrazia pluralista in Tunisia all’indomani della rivoluzione dei gelsomini.

Oggi il Papa incontra il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, il patriarca siro-ortodosso di Antiochia, Efrem II oltre ai vertici musulmani ed ebrei. Al centro dei colloqui c’è la condizione di un globo che non è poi tanto diverso dal 1986. Se allora era diviso dal Muro di Berlino e vigeva la guerra fredda, oggi, invece, c’è la “terza guerra mondiale a pezzi”. Il vescovo di Roma, che per la terza volta torna nella città del suo omonimo – il 4 agosto scorso si era recato in pellegrinaggio alla Porziuncola di Santa Maria degli Angeli per gli 800 anni del “Perdono di Assisi” mentre il 4 ottobre del 2013 aveva partecipato alle celebrazioni per san Francesco Patrono d’Italia – mostra anche in quest’occasione la sua attenzione per i più poveri. Infatti, nel refettorio del Sacro convento, consuma il pranzo con un gruppo di 25 rifugiati: 10 ospiti della Comunità di Sant’Egidio, 10 del “Cara” di Roma e 5 della Caritas di Assisi.

Quello che è stato ribattezzato dagli addetti ai lavori il G8 delle religioni, si conclude alle 17.15, in piazza San Francesco. Al discorso del Papa segue la lettura di un Appello di pace consegnato a bambini di varie Nazioni. Infine altri attimi memorabili: un momento di silenzio per le vittime delle guerre, la firma dell’Appello, l’accensione di due candelabri e lo scambio della pace. Dopo tanti anni il treno del dialogo non si è fermato sebbene in molti cerchino di farlo deragliare. Sta a noi – e soprattutto ai responsabili delle Nazioni – non perdere la coincidenza che conduce a un futuro di concordia tra i popoli.

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