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ANORESSIA UN MOSTRO CHE TI DIVORA

“A colazione tre biscotti integrali da quaranta calorie ciascuno. A pranzo tre carote alla julienne condite con limone e per cena cinquanta grammi di pollo. Niente zucchero nel caffè e almeno mezz’ora di tapis-roulant al giorno. È stata questa la mia prima dieta”. Serena, oggi 45 chili, ha gli occhi enormi e il suo volto scavato è incorniciato da lunghi capelli color nocciola. Mentre parliamo getta timidamente lo sguardo sulle pareti della stanza, e tradisce un’urgenza disperata. Per lei, tre anni fa, è iniziato un calvario tanto diffuso quanto incompreso: quello dell’anoressia.
Ha le gambe magrissime: i jeans che indossa sono extra small, ma non arrivano a fasciarle i polpacci. E la sua pelle, proprio come i pantaloni, non aderisce completamente alla clavicola: “Persi i primi chili involontariamente: tornai dalle vacanze estive leggermente dimagrita. I ‘fianchetti’ per me non erano mai stati un vero problema, mi ero sempre limitata a nasconderli indossando maglie un po’ più larghe. Ma le amiche si complimentavano e tutti, tra cui mio padre, mi dicevano che così stavo molto meglio, e quella mi sembrò l’occasione per dare inizio a una nuova fase della mia vita: più magra, più bella e più popolare. Calai di peso nel giro di pochi mesi. Sembra assurdo, ma continuavo a vedermi grassa”.

Proprio oggi ricorre la giornata mondiale dell’alimentazione, e tra le mille sfaccettature del tema c’è anche il disturbo del comportamento alimentare: in Italia a soffrirne sono oltre tre milioni di persone e i suoi effetti si presentano come la prima causa di morte al mondo per problemi psichiatrici. Ma troppo spesso, tra chi vive questo problema e chi lo osserva dall’esterno si erge un muro immenso, fatto di incomprensioni e paure: “Mio padre sembra completamente indifferente – continua Serena – le poche volte che lascia cadere il suo sguardo sul mio corpo appare confuso, forse leggermente spaventato. Ma è una persona che lavora molto e dalla vita ha già avuto troppi dolori. Per questo non gli chiedo aiuto e provo ad andare avanti con le mie gambe. Lui forse la considera solo una fase adolescenziale”.

Ma l’anoressia non è un capriccio adolescenziale né un semplice disturbo dell’appetito: “L’ossessione che ruota attorno a cibo corpo e peso – spiega Simona Chiozzi dell’Aba (Associazione bulimia anoressia) – è un modo per comunicare una sofferenza profonda. Controllare compulsivamente il proprio corpo diventa un anestetico che permette di non sentire”. E ad esserne affette non sono solamente le giovani donne: nell’85% dei casi questa malattia colpisce bambini, donne adulte e ragazze adolescenti, e da qualche anno il problema sembra coinvolgere sempre di più anche gli uomini.

La mia vita ruota tutta attorno ai pasti che salto – racconta ancora Serena -: col tempo ho imparato a lasciare in giro ossi di pesche e briciole di biscotti per far vedere alla mia famiglia che mangio, e non ricordo neanche quale sia stata la mia ultima uscita con gli amici. Assieme ai chili ho perso anche le energie, il raggiungimento della ‘perfezione’ è un vero e proprio stile di vita. Con il tempo, poi, picchi di felicità e determinazione hanno cominciato ad intrecciarsi con cali di autostima e profonda disperazione: ci sono giorni in cui mi sento invulnerabile, piena del controllo del mio corpo. E sere in cui, al contrario, ingurgito tutto quello che mi capita sotto mano per poi rivomitarlo in preda a pianto e sensi di colpa”.

A coadiuvare l’espandersi di questo “virus” così pervasivo, oltre alla “fame” d’amore e d’attenzione, c’è il web: i numerosi forum che vi si nascondono diventano l’unico punto d’approdo per tutte le giovani donne che in assenza di un punto di riferimento navigano disperate in un mare di incertezze. Spiega Simona dell’Aba: “Lavoriamo su tutto il territorio nazionale ma quella che compiamo ogni giorno è un’impresa quasi solitaria”. Uno schiaffo alle istituzioni, il cui aiuto è ancora troppo limitato.

“L’anoressia si può combattere – conclude Serena – ma lascia cicatrici nel cuore e sulla pelle. Inizialmente mi rifiutavo di ascoltare chiunque volesse tirarmi fuori dal buio pesto di questo tunnel: avevo paura di ingrassare e di perdere il controllo della mia vita. Ma fuori dalle mura domestiche ho trovato l’ascolto, la possibilità di trasformare in parole tutto quel vuoto che ho sempre cercato di anestetizzare con il controllo. Ancora non riesco ad accettare molti tipi di cibo: ne seleziono i colori, gli odori e anche la forma. Non riesco a prendere medicine dolci e ogni bibita che non sia acqua, di fronte al mio corpo, si presenta come un pericolo. Ma la voglia di tornare a vivere sta diventando più forte di ogni altra cosa. Ho solo vent’anni e un giorno, spero, potrò raccontare il viaggio che, troppo spesso, ti fa dimenticare la strada del ritorno”.

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