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ANORESSIA, IL VIRUS DELL’ANIMA

Da appena un anno è uscita da quel maledetto tunnel che le impediva di volersi bene. A 18 anni era arrivata a pesare 32 chili per un metro e 70 di altezza, praticamente un fantasma. Ora Juliana sta meglio, mangia, è serena. Ma non ha dimenticato quanto dolore le ha provocato l’anoressia, e per questo ne parla alle altre giovani. “Molti medici, e persino i miei familiari – racconta – non credevano più a un mio eventuale recupero, per le troppe complicazioni cliniche”.

Eppure lei è riuscita nell’intento… “Direi che ci vuole coraggio ad andare contro se stessi, in un momento in cui non lo si è realmente, quindi farsi del male per farsi del bene”. Bastano queste parole, complicate e disarmanti al contempo, a dare la percezione di quanto sia devastante il problema. C’è in gioco la psicologia della persona, la distrazione della società, i modelli sbagliati, gli allarmi costantemente minimizzati, persino l’esistenza di siti web che catturano gli adolescenti portandoli vero la morte.

Una ricerca dell’università di Oxford, ha dimostrato come il numero di casi sia in forte crescita. Gli studiosi sostengono che il problema sia sottovalutato, perché generalmente ricondotto solo alle donne. In realtà i disturbi alimentari sono diffusi anche nella popolazione maschile. Fornire statistiche con cifre definite ancora è complicato (in Italia si parla di 3 milioni di persone con disturbi dell’alimentazione, pari al 5% della popolazione), sia perché il fenomeno è stato preso in considerazione clinicamente da non troppo tempo, sia perché esistono ancora molte sacche di sommerso, che non vengono denunciate né tantomeno seguite da medici.

Anche le cause dei disturbi del comportamento alimentare – afferma uno studio del Ministero della Salute italiano – non sono ben definite e certamente non univoche, ma multifattoriali, comprendenti cioè tanto fattori psicologici che biologici.

Questa difficoltà di definire i contorni del problema, rende tutto più difficile. E spesso chi si ammala resta solo con i propri fantasmi. Studi epidemiologici internazionali portano a stimare, nelle donne di età compresa tra i 12 e i 22 anni, una prevalenza dell’anoressia nervosa pari allo 0,0-0,9% (media: 0.3%) e della bulimia nervosa pari all’1-2%. Il 3,7-6,4% della popolazione sarebbe infine affetto dai disturbi del comportamento alimentare non altrimenti specificati (disturbi del comportamento alimentare-Nas): per queste forme l’età media d’esordio si colloca intorno ai 17 anni.

Numeri, cifre, percentuali, dietro alle quali ci sono persone. “Leggere di altre storie – racconta ancora Juliana – fa uno strano effetto di amarezza per l’altrui sofferenza, per le tante giovani che non sono riuscite a combattere, per quelle che al contrario si sono impegnate a distruggersi, per quelle che hanno chiesto aiuto non ottenendolo”. Lei che ha provato la sensazione assurda di volersi male, definisce l’anoressia “un virus emotivo che consuma ogni energia vitale”. Una descrizione che fa venire i brividi, più efficace di tanti manuali di medicina.

La prima trincea è la famiglia, ma spesso è proprio la disattenzione all’interno di questa cellula fondamentale a provocare i guasti peggiori. Allora si cerca aiuto fuori, e si trova l’Aba, l’associazione bulimia e anoressia fondata da Fabiola De Clercq nel 1991. Da oltre 20 anni medici e psicologi si mettono a disposizione di chi si consuma dentro e non trova una via d’uscita. A volte la battaglia si perde, ed è un dolore per tutti, spesso si vince. “L’informazione è un’ottima arma contro l’anoressia – dice ancora Juliana – soprattutto se viene fatto presente ciò a cui si va incontro, anche crudemente”.

Di solito si inizia con una cura dimagrante; ciò che si desidera, apparentemente, è migliorare la propria immagine. In realtà poi la dieta si trasforma in un imperativo interiore di nutrirsi di quantità di cibo sempre più irrisorie. Altre volte è una disperata ricerca di attenzione a innescare il vortice distruttivo. In entrambi i casi l’esigenza è quella di “esistere”, essere “visibili”. E, paradossalmente, si arriva all’obiettivo opposto, diventare magri al punto da sparire. In realtà però l’anoressica ha fame, ma non di cibo: di relazioni, affetti, emozioni.

Tutto ciò è pericolosamente sbarcato anche su internet, dove proliferano siti pro-Ana, come viene definita l’anoressia. “Questo è un blog ‘ a più mani’ di ragazze con una filosofia pro-Ana. Ana non è una malattia, ma una filosofia – c’è scritto su un sito monitorato dal Ministero della Salute -. Un modo di vivere”. Uno schiaffo alla sofferenza. Ma la verità è un’altra, ma nel relativismo imperante in cui viviamo ogni posizione sembra verosimile.

Clinicamente si muore perché il corpo, dopo aver bruciato tutto il bruciabile, zuccheri inizialmente ed energie pronte, poi le riserve e i grassi, quindi in realtà dopo essersi mangiato da solo, brucia per ultima cosa i muscoli; da questa combustione deriva un eccesso di ammoniaca, altamente nociva per il nostro organismo, che non riesce a essere eliminata tramite urina come succede in condizioni fisiche normali e quindi porta alla morte. Ma può anche accadere – più raramente – che il cuore, indebolito, non regga più e si arrivi a un arresto cardiaco.

Chi soffre di questo disturbo è più fragile fisicamente, e per questo le difese immunitarie cominciano a non funzionare come dovrebbero, il che le rende più predisposte alle malattie e le loro guarigioni, se avvengono, sono infinitamente più difficili di quelle di persone sane. Questa è l’anoressia, un modo per morire, altro che “un modo di vivere”.

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