Sono circa 300 mila nel mondo, ed un esercito di 7 mila in Italia, coloro che, quotidianamente, combattono la loro battaglia per la vita. Parliamo dei malati affetti da talassemia, dal greco “thalassa” (mare), patologia che colpisce particolarmente i popoli del bacino mediterraneo, ma diffusasi anche in Medio Oriente, India subcontinentale e Sud-Est asiatico.
La patologia
È una malattia del sangue geneticamente trasmessa, a carico dell’emoglobina, proteina contenuta nei globuli rossi, determinante per il trasporto dell’ossigeno nel sangue. Quando l’organismo non riesce a sintetizzarla correttamente, provoca la graduale e inevitabile distruzione dei globuli rossi, fino alla malattia. L’emoglobina, a sua volta, è costituita da due proteine: alfa globulina e beta globulina.
Tipologie
In buona sostanza, la talassemia si manifesta quando uno o più geni, che controllano la produzione di una o entrambe le proteine, mutano.
La patologia e la sua maggiore o minore gravità si classifica in due sezioni:
– numero di geni mutati ereditati dai genitori;
– per tipologia di proteina coinvolta ( alfa o beta )
Nell’Alfa Talassemia Minor sono coinvolti solo due geni e la sintomatologia è lieve. In quella Maior, invece, i geni coinvolti sono quattro e il neonato muore poco prima di nascere o subito dopo.
La Beta Talassemia o Anemia Mediterranea, è la più diffusa nella nostra area mediterranea. Nella forma Maior si ha poca ossigenazione dei tessuti, con forte senso di stanchezza e scarso accrescimento anche scheletrico. Ne sono affetti i bambini con genitori portatori sani. Quella Minor non è grave ed ha conseguenze modeste.
Studi
Per approfondire il tema abbiamo sentito la dottoressa Laura Forte, ematologa. La quale ci ha spiegato che il mondo della ricerca sta portando avanti importanti studi scientifici per riuscire a debellare la talassemia ma, al momento, nella gran parte dei casi, vengono somministrati farmaci per rendere più accettabile la qualità di vita del paziente. Solo nella variante lieve della malattia non servono cure ma controlli continui e programmati insieme ad occasionali trasfusioni di sangue. Per le forme più gravi sono varie le soluzioni terapeutiche. Quella più frequente prevede le trasfusioni di sangue, con una cadenza di 20/25 giorni, generando però un accumulo di ferro negli organi cosiddetti nobili, quali: cuore e fegato. Perché ciò non sviluppi più gravi conseguenze, i pazienti devono assumere farmaci chelanti, che scaricano ferro come la Deferroxamina, iniettata sotto cute, grazie ad una pompetta a lento rilascio. In questo modo, si allontanano i rischi di potenziali Epatopatie e tumori.
I sintomi
I sintomi si fanno sentire con anemia, affaticamento nelle attività quotidiane, alterazione dell’umore e irritabilità, deficit nella crescita, spesso con gravi problemi all’apparato endocrino, ittero nei neonati e urine scure. Nei casi più gravi, deformità ossea, particolarmente a carico del cranio, e aumento di volume della milza. Per questo motivo, l’alimentazione deve essere particolarmente curata, evitando cibi ricchi di ferro quali: carne rossa, maiale, fagioli, cereali, arachidi, ostriche. Il paziente deve ridurre la verdura a foglia verde, prugne, anguria, broccoli, piselli e fave. È consigliato bere tè durante i pasti per abbassare l’assorbimento intestinale del ferro.
Cure personalizzate
Dopo 10/ 15 trasfusioni, per abbassare la percentuale di ferro nel sangue, quindi, il talassemico inizia la terapia chelante che durerà tutta la vita. E, da venticinque anni a questa parte, i pazienti possono sottoporsi con maggiore serenità al programma trasfusionale, grazie agli accurati controlli sulle sacche di sangue raccolte con le donazioni. Il 1990, infatti, fu l’anno in cui in Italia esplose lo scandalo del sangue infetto. Anno horribilis, in cui in molti si accorsero di essere stati colpiti, anni prima, dall’Epatite C, e ancor peggio dall’Hiv, con forte rischio di Epatocarcinoma. Negli ultimi anni i donatori di sangue sono aumentati parallelamente ai controlli, dando luogo ad una selezione senza precedenti.
Trapianto
Le terapie allungano la prospettiva e il progetto di vita, ma non azzerano la malattia. Una tra le nuove strade possibili e caldeggiata dagli specialisti, laddove si presentino le condizioni ottimali, è il trapianto. Al mondo ci sono tanti ex talassemici e, in base ai dati forniti, un terzo di loro, può trovare un donatore di midolo osseo compatibile, con ottimi risultati. Il trapianto, comunque, non è esente da rischi se l’organismo del malato non reagisce nella giusta misura entro i sei mesi (crisi di rigetto).
Staminali
Per agire contro la talassemia, si trasfondono cellule staminali Ematopoietiche (cellule multipotenti), che hanno la capacità di autorinnovarsi. I migliori donatori sono i familiari, ed in particolare fratelli e sorelle, ma in assenza di queste figure, si accede al registro dei donatori. Per la guarigione la compatibilità del donatore deve essere al cento per cento. Le cellule sane vengono introdotte nel paziente con una semplice trasfusione, successivamente ai trattamenti e ai preparativi necessari, per affrontare l’intervento. I primi segnali di buon risultato si hanno dopo circa un mese, quando il trapiantato comincia a dare segni di benessere. Ma occorre attendere sei mesi prima di dire che tutto sia andato totalmente a buon fine. Il primo trapianto di questo tipo venne fatto a Seattle (Usa) nel 1981, in Italia nel 1987 in Sardegna, isola che da oltre un secolo combatte con questa patologia. Male endemico portato dalla malaria, da cui la terra era afflitta, inoculato dalla zanzara anofele.
Terapia genica
Rappresenta il futuro che gli scienziati sperano sia molto prossimo, in quanto la ricerca sta dando buoni risultati, più del previsto. Presenta una procedura più delicata, che corregge il gene malato, lavorando sul Dna, con l’inserimento di uno sano. Ciò che fa da tramite, per questa operazione, sono i virus creati in laboratorio, chiamati anche vettori lentivirali, studiati e sperimentati nelle biotecnologie e in laboratori di biologia molecolare. I virus lentivirali sono, infatti, costruiti in laboratorio, a partire da virus infetti. Contengono geni da sostituire a quelli virali, e perdono la capacità di clonarsi. Tale terapia, in ogni caso, andrà adottata dopo accuratissimi controlli sul paziente, sulla sua recettività e sulla reazione.
Un articolo uscito sul quotidiano La Nuova Sardegna il primo febbraio 2017, riporta i dati aggiornati dell’Unità Ospedaliera dell’Università di Cagliari. Nel 2000 i talassemici nella sola Sardegna erano 1300/1400, oggi sono il 30% in meno.
Costi
I costi per la ricerca e la sperimentazione di nuovi farmaci sono molto alti, in particolare per i reparti di Ematologia, che sono i più esosi per il Sistema Sanitario Nazionale. A porre i problemi e le difficoltà maggiori sono le industrie farmaceutiche. Rosei, comunque, i test nelle maggiori cliniche internazonali e In Italia, come nel Centro Ematologico di Cagliari, al San Raffaele di Milano, e nei poli legati al Bambino Gesù di Roma. La terapia genica sarebbe senza rischio di rigetto, con risultati migliori se eseguita in età pediatrica. Ma occorre attendere ancora per avere la certezza della sua riuscita.
La ricerca sta facendo passi da gigante grazie al contributo di fondazioni, raccolte da semplici cittadini e dalle quelle aziende che credono in questo progetto. Resta solo una raccomandazione da fare. Scoperta la terapia debellatrice più efficace, vorremmo che questa fosse accessibile a tutti, perché tanti, molti, con le loro grandi e piccole offerte, in base alle proprie disponibilità, hanno contribuito e contribuiscono al successo della sperimentazione. Tutti, infatti, meritano riconoscenza in egual misura.