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ALL’INFERNO PER UN PANINO

Un muro di persone, strette, stipate, che camminano in cerchio ciondolando, perchĆ© ĆØ lā€™unico movimento che possono compiere. Non ĆØ un incubo, tantomeno il contrappasso di un girone dantesco. Questo ĆØ un luogo reale in cui centinaia di uomini sono obbligati a vivere: si tratta delle carceri del Camerun. Scabbia, pene aggiuntive, fame, sete e detenzioni di anni per reati minimi. Ci si arriva in genere per piccoli furti come quello di una mela, di una barra di sapone o di due galline. ƈ la quotidianitĆ .

Il cortile per lā€™ora dā€™aria ĆØ di 20 metri per 15 nel carcere di Bafoussam, ed ĆØ condiviso da circa 350 persone tra bambini, adulti e anziani, senza distinzione. Ma questa non ĆØ unā€™eccezione, si stima infatti che nelle prigioni di questo Paese ci sia un sovraffollamento del 394%. Se giĆ  questo fa rabbrividire, i racconti della vita in questo posto lasciano senza fiato. Allā€™interno delle strutture, infatti, non ci sono militari, questo spazio ĆØ un mondo a parte, con regole e capi che le fanno rispettare secondo una gerarchia ben precisa, dettata dallā€™unica legge che conoscono: quella del piĆ¹ forte. In ogni cella di 7 metri quadri, sono ospitati circa 50 detenuti, e cā€™ĆØ un capo, un vice e un vero e proprio sindaco che detta le regole, come ad esempio il costo di ogni posto letto. I pochi fortunati che possono permettersi di pagare occupano gli unici veri letti, mentre gli altri dormono sul pavimento.

Anche il cibo ha un costo, e non viene fornito dalla struttura carceraria se non un piatto di polenta di mais una volta al giorno, lasciando alla famiglia il compito di integrare il pasto: quando ĆØ lontana o troppo povera, il prigioniero rischia di morire di fame. Dato che questo avviene nella maggior parte dei casi, il detenuto per riuscire a sopravvivere ha solo due possibilitĆ : la prima ĆØ quella di sottomettersi al volere del capo, diventando un suo ā€œschiavoā€, la seconda ĆØ quella di vendere lā€™unica cosa di cui sono in possesso, ovvero il loro corpo. Ovviamente per questa pratica sono piĆ¹ ambiti i ragazzini tra i 12 ai 16 anni, che vivono insieme agli altri detenuti. Proprio per questo molti sono entrati sani e sono usciti non sono traumatizzati, ma contagiati dalla piaga che affligge lā€™Africa, ovvero lā€™Hiv.

Emblematico ĆØ il caso di Foumbassau, un ragazzo di 15 anni fortemente ritardato a causa di una meningite celebrale avuta a 3 anni, che era stato utilizzato da una banda di rapinatori proprio perchĆ© incapace di opporsi e di corporatura piccola, per introdursi allā€™interno di una casa passando per una piccola fessura. Ovviamente allā€™arrivo della polizia ĆØ stato lā€™unico arrestato e ha trascorso piĆ¹ di due anni in carcere, mentre alcuni volontari dellā€™associazione Giovanni XXIII cercavano di far capire ai giudici che il suo ritardo mentale lo rendeva di fatto innocente.

Un altro caso ĆØ quello di Christelle, 36 anni, che era stata arrestata insieme ad altre cinque donne, con lā€™accusa di aver rubato un sacco di riso. A un anno di distanza, nessuno aveva verificato lā€™accusa o cercato testimoni, e il processo non era mai stato convocato. In questo caso ĆØ intervenuta la comunitĆ  di Santā€™Egidio, che ha preso contatti con lā€™accusatore, ha stabilito un indennizzo di 20 euro, ottenendo la scarcerazione. Uno schiaffo alla dignitĆ  umana, in un mondo in cui lā€™occidente discute sul modo migliore di debellare la povertĆ  assoluta.

La maggior parte delle persone allā€™interno del carcere, dunque, ĆØ lƬ per piccoli furti legati alla sopravvivenza, reati che in teoria prevedono pene molto lievi. Il problema ĆØ che lā€™attesa dei processi ĆØ tra i 3 e i 5 anni, quindi anche se rubi solo una un sacco di farina perchĆ© hai fame, passerai comunque tre anni recluso in questo inferno.

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