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ALLE RADICI DEL FEMMINICIDIO

Soltanto nei primi cinque mesi del 2016, 58 donne sono state uccise dal compagno o dall’ex. Ma, il femminicidio è solo l’effetto estremo di un atteggiamento violento che si manifesta in forme e con gradi diversi. La violenza fisica e sessuale sulle donne, in qualche caso fino all’uccisione, è soltanto la punta dell’iceberg di una violenza allevata da una misoginia dura a morire e radicata anche nella cultura delle nostre società occidentali, che troppe volte rivendicano il principio di libertà insieme a quello di parità dei diritti.

Nel Rapporto dell’Unifem, il Fondo delle Nazioni Unite per lo sviluppo delle donne, c’è scritto che “la violenza sulle donne nel mondo è probabilmente la forma più pervasiva di violazione dei diritti umani conosciuta oggi, che devasta vite, disgrega comunità e ostacola lo sviluppo”. Oltre i due terzi delle abitanti “in rosa” del pianeta hanno subito una qualche forma di violenza nel corso della loro vita e più di cento Paesi del mondo sono privi di una legislazione di prevenzione e di tutela. Secondo i dati Istat, quasi 7 milioni di italiane hanno subito violenza fisica o sessuale, circa un terzo in un’età compresa tra i 16 e i 70 anni. Oltre il 62 percento, dal partner attuale o precedente. Ma c’è la violenza morale e psicologica, e anche la disparità di trattamento contrattuale sul lavoro, di ruolo ed economico; è una violenza “di genere”. Action Aid ha pubblicato una ricerca, da cui risulta che la diseguaglianza tra uomini e donne, con salari più bassi, impieghi precari, scarsa istruzione e maggiore sfruttamento, ha un conto economico che supera i 17 miliardi di euro – l’equivalente di tre manovre finanziarie – , a fronte di meno di 6 miliardi spesi nella prevenzione.

“Sulla pelle delle donne” è l’incontro interdisciplinare, organizzato da Banca Generali in collaborazione con FemeNews – Donne che fanno rete e notizia in Italia e nel mondo, eDegat Consulting e Giallo Limone produzioni cinematografiche, e andato in scena a Roma, al Teatro Parioli, giovedì 9 giugno 2016. Il sottotitolo dell’evento era “La violenza uccide noi e soffoca l’economia del Paese”. Si è trattato di “una riflessione sulla violenza, che quotidianamente vede le donne loro protagoniste loro malgrado, tanto dentro casa quanto all’esterno delle mura domestiche, sul lavoro e per strada, nella rappresentazione e nel linguaggio, come nelle immagini che le raccontano con l’oggettivazione del corpo per fini commerciali”, si leggeva nella brochure di presentazione.

Il maschilismo – o l’anti-femminilismo – è principalmente una visione della società, così come è stata organizzata anche in Occidente, appunto “al maschile”, nella quale prevalgono, cioè, categorie di comportamento e di scelta che tradizionalmente appartengono allo stile di pensiero e di azione degli uomini, che mettono in prima linea il potere e la forza, quella fisica come quella economica-monetaria. Il 60 percento dei lavoratori poveri del mondo sono donne. “Non solo femminicidio, dunque – continua la locandina dell’evento del 9 giugno –. La violenza contro le donne ha ricadute economiche pesanti. In primis, con la disoccupazione femminile e la precarietà, attestate su percentuali ancora troppo elevate rispetto al resto d’Europa”.

Tante volte, Papa Francesco è intervenuto per la valorizzazione e il giusto riconoscimento di ruolo e di dignità delle donne nella società e anche nella Chiesa. Anche in occasione della Via Crucis al Colosseo, ha pregato: “Piangiamo per quegli uomini che scaricano sulle donne la violenza che hanno dentro. Piangiamo per le donne schiavizzate dalla paura e dallo sfruttamento”.

In Terris ha intervistato la statista sociale Linda Laura Sabbadini, già direttore del Dipartimento per le statistiche sociali e ambientali dell’Istat fino ad aprile 2016, “pioniera” della ricerca statistica “al femminile”. La sua esclusione dall’organigramma voluto dal presidente Giorgio Alleva ha sollevato non poche polemiche. Grazie ai suoi studi, sappiamo che circa 10milioni di italiane hanno subito qualche forma di abuso, ma solo un terzo sporge denuncia, o che le connazionali sono più brave a scuola e sul lavoro dei maschi, ma sono retribuite meno. È stata l’autrice della ricerca sul “carico” di lavoro delle donne, fuori e dentro le mura domestiche. Il Capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi l’ha insignita dell’onorificenza di Commendatore della Repubblica.

Dottoressa Sabbadini, com’è cambiata la condizione della donna – e del maschilismo – in Italia negli ultimi vent’anni?
“È molto migliorata, negli ultimi 20 anni. Grandi conquiste sono state ottenute, su tutti i fronti, ma nuovi traguardi devono essere ancora raggiunti. Oltre ai grandi avanzamenti sul piano dell’istruzione, le donne sono cresciute nel mercato del lavoro ed è cambiata profondamente la forma di partecipazione. Si entra nel mondo del lavoro in età più avanzata. L’occupazione femminile, tradizionalmente bassa nel nostro Paese, soprattutto nel Mezzogiorno, ha vissuto una grande crescita all’indomani della crisi dell’inizio degli anni ’90. A partire dal 1995, l’occupazione femminile è cresciuta ininterrottamente fino al 2008, alla grande crisi, che ha colpito più le donne che gli uomini. Il Sud ha raccolto le briciole e rimane molto indietro. E le conquiste sono avvenute con fatica e sono state pagate a caro prezzo, in altre dimensioni della vita: aumentano le interruzione del lavoro dopo la nascita dei figli, il carico è sempre doppio, dentro e fuori casa. Poi, pur crescendo la presenza femminile nei luoghi decisionali, questo avviene con enorme lentezza e ritardo rispetto ad altri Paesi, salvo che non intervengano leggi a sostegno, come la legge Golfo Mosca. Meno di metà delle donne in età lavorativa ha un impiego retribuito. Siamo in fondo alla graduatoria europea, e il Sud continua a collocarsi molto lontano dal Nord. Il problema ha a che fare con le rigidità sociali del nostro Paese, comunque profondamente maschilista”.

Da cosa nasce la violenza sulle donne e quali sono gli strumenti per contrastarla?
“La violenza contro le donne è l’espressione del desiderio di controllo, di dominio e di possesso degli uomini sulle donne, solitamente del partner, anche quando la relazione si è conclusa. Saraè stata uccisa perché non ha accettato di rassegnarsi ad essere proprietà del suo compagno e si è comportata da donna libera. Rispetto al passato, molte donne riescono a uscire da relazioni violente in tempo, anche con l’aiuto di amici, di centri antiviolenza, di operatori specializzati che sono anche nei pronto soccorsi, e anche delle forze dell’ordine. Non sempre, però, le vittime di violenza, soprattutto del proprio partner, riescono ad uscire dall’isolamento. Alla violenza fisica e sessuale si affianca la violenza psicologica, che annienta, che allontana dagli affetti e dalla vita sociale e rende le donne impaurite di affrontare la situazione. La convenzione di Istanbul è fondamentale per mettere in atto politiche attive di prevenzione, coerenti e coordinate, per evitare lo spreco di energie e di risorse. L’azione delle istituzioni deve essere forte a tutti i livelli: dal governo centrale alle amministrazioni locali. E va fatta un’opera di sensibilizzazione e di coinvolgimento del la pubblica opinione e delle imprese, utilizzando modalità innovative, che in altri contesti europei hanno ottenuto risultati soddisfacenti. Il problema della violenza ci impegna tutti per la sua soluzione. Come si è sentita Sara, quando ha cercato inutilmente di chiedere aiuto? Sull’articolo che ho scritto su ‘La Stampa’, ho parlato di un silenzio assordante. Non deve più succedere. Dobbiamo sentirci tutti responsabili in prima persona. La violenza contro le donne non è un fatto privato. È un problema, innanzitutto, di educazione alle relazioni. I ragazzi e le ragazze devono imparare a gestire i rapporti tra i sessi all’insegna del rispetto e della valorizzazione di ciascuno. La scuola deve fare la sua parte, in questa grande battaglia culturale”.

Nel mondo dell’economia e del lavoro, quali sono gli abusi più diffusi contro le donne?
“Le donne sono spesso soggette a molestie e ricatti sessuali, per entrare nel mercato del lavoro, per rimanervi o per seguire percorsi di carriera. I fenomeni di mobbing o di demansionamento riguardano sia gli uomini che le donne, ma per le donne sono più gravi e più frequenti. Il ricatto sessuale è particolarmente efficace in un momento di crisi economica, e viene usato dagli uomini come arma. La grande difficoltà che emerge, per le donne, è di affermarsi ai livelli più alti della scala sociale. E spesso le donne sono nemiche di se stesse, in una mentalità maschilista radicata. Gli stereotipi alimentano l’autoesclusione e costituiscono un ostacolo anche interiore forte, che impedisce la crescita verso livelli manageriali elevati. Anche qui, c’è bisogno di grandi battaglie culturali, per promuovere una vera equità, non soltanto nelle leggi. Abbiamo bisogno di pari trattamento, anche economico, per pari capacità, e di un trattamento che sia differenziato in rapporto alle capacità diverse, senza che il genere diventi strumento discriminatorio”.

Qual è l’economia sommersa del lavoro rosa “invisibile”?
“C’è il lavoro nero, invisibile, e c’è il lavoro non retribuito delle donne nella cura domestica, che è stato per anni un pilastro del sistema di welfare, e ancora lo è. Ma adesso le donne sono cambiate, è cambiata l’organizzazione sociale, non sono più principalmente casalinghe e non possono più farsi totalmente carico della cura dei propri cari come in passato. Eppure, sono costrette a farlo, perché non è stato messo a punto un sistema di servizi adeguato. Le donne sono sovraccariche e non hanno il tempo e le risorse per realizzarsi su tutti i piani. Il rischio è che il tempo a loro tolto per la cura non è sostituito con il tempo e i mezzi messi a disposizione dalle strutture pubbliche o degli uomini di casa. Questo lavoro invisibile ha un valore immenso, umanamente, ma anche economicamente. Spesso inquantificabile e non quantificato. Bisognerebbe studiare delle modalità perché fosse socialmente riconosciuto e valorizzato, quindi, anche sotto il profilo finanziario e dei servizi”.

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