Si è svolta ieri, martedì 12 maggio, la conferenza “Ebola, health systems and justice in West Africa”, promossa e ospitata dalla Pontificia Università Gregoriana, che ha visto tra i relatori dottori, docenti e esponenti di Caritas Internationalis. Il dibattito si è svolto, non casualmente, in concomitanza con l’annuncio, da parte dell’Organizzazione mondiale della Sanità, che la Liberia è libera dal virus non essendosi più registrati casi di contagio dal marzo scorso.
Monsignor Robert J. Vitillo, consulente speciale per la salute di Caritas internationalis, ha esordito ricordando il grande impegno Caritas dall’inizio dello scoppio dell’epidemia nell’Africa occidentale. “Mentre i governi e le organizzazioni internazionali cercavano una risposta coordinata, la Caritas e le altre organizzazioni religiose hanno risposto immediatamente a livello nazionale, regionale e locale”, ha esordito Vitillo. “In Guinea, Liberia e Sierra Leone – ha proseguito – le Chiese hanno offerto assistenza materiale (anche cibo) e pastorale, hanno accompagnato le famiglie e gli amici nel lutto per la morte dei loro cari, hanno promosso la reintegrazione sociale delle persone guarite” nonché “assistenza alle procedure per la gestione dei cadaveri” e “linee guida per funerali sicuri e dignitosi”.
Per potenziare la risposta all’ebola da parte delle Chiese locali, ha sottolineato mons. Vitillo, la Santa Sede ha anche offerto un contributo di tre milioni di euro destinati a “strutture per migliorare l’assistenza di istituzioni sanitarie, iniziative comunitarie e cura pastorale dei malati e del personale sanitario, acquisto di forniture sanitarie di prima necessità, trasporto dei malati e la formazione di religiosi, operatori pastorali laici, catechisti al fine di sviluppare i comportamenti necessari a fermare il contagio”. Come ricorda Papa Francesco, ha concluso, occorre una “cura integrale della persona: tecnica, medica, umana, psicologica, spirituale”.
Jacquineau Azetsop, docente presso la Gregoriana di politica sanitaria ed epidemiologia sociale, ha dato in serata una lettura in chiave socio-antropologica dell’epidemia. “L’ebola – ha spiegato Azetsop – non è un problema solo di salute, ma anche di divisione e di giustizia sociale: i ricchi possono permettersi le cure migliori, i poveri no”, ed è “il risultato di decenni d’instabilità, poteri pubblici oppressivi, povertà dei sistemi sanitari”. “L’Africa occidentale – ha concluso – è insignificante per il mondo, perciò interventi sanitari importanti non rientrano nell’agenda dei Paesi ricchi che sono concentrati soprattutto in programmi contro Hiv-aids, tubercolosi e malaria”.
Infine, il dott. Klemens Ochel (Medical Mission Institute) ha sintetizzato la strategia anti-ebola in quattro fasi: “Individuazione e identificazione dei casi, isolamento/quarantena dei pazienti sospetti, trattamento medico e gestione”. Tra le sfide per la Chiesa, la teoria complottistica sostenuta da alcuni, e talvolta la mancata autorizzazione alla celebrazione delle messe domenicali. “I funerali di quelli che non guariscono – ha concluso – devono essere al tempo stesso dignitosi e rispettosi di tutte le misure di precauzione”.