Sono le cinque e trenta del mattino e Mattia è seduto su una panchina foderata da graffiti stinti; con le dita si strofina ripetutamente il volto e il suo sguardo, incorniciato da due occhi un po’ gonfi di sonno, tradisce una stanchezza a cui ormai si è rassegnato: “Tocca lavorà, perché devo pagare l’affitto, e se non lo pago sono dolori”. Deve essere alto un metro e novanta e non raggiunge i settanta chili di peso. Ha il busto leggermente flesso in avanti e la sua testa, immobile, non si stacca dal brecciolino del cantiere in cui lavora. “Ma a che mi serve lo studio, scusa? Io non ci capisco niente. Mia madre non aveva mai i soldi per i libri e io sono il peggio: mi hanno bocciato due volte prima che mollassi le superiori; non tutti siamo fatti per studiare e io ho scelto di lavorare. Onore a chi lavora”.
Mattia ha 19 anni e fa il muratore a tempo pieno. Sta sui calcinacci dodici ore al giorno e già comincia ad accusare i primi dolori alla cervicale. Continua a ripetere, a se stesso e a quei pochi altri che glielo chiedono: “La scuola non faceva per me”. “In realtà pure se lavoro, non è che me la cavo tanto con quest’affitto: non do i soldi da quattro mesi, questi mica pagano. Il proprietario del cantiere dice che c’è la crisi ma a me della crisi non me ne frega niente perché se perdo il lavoro, io mi ritrovo in mezzo alla strada”.
La storia di Mattia è analoga a quella di tanti altri ragazzi della sua età. Di gente come lui se ne trova in Italia: nei bar, ai centri commerciali, sotto i palazzoni grigi del periurbano e sulle panchine dei giardinetti nelle grandi città. Da nord a sud, ogni anno, centinaia di migliaia di giovani si lasciano alle spalle le porte della scuola.
Il fenomeno della dispersione scolastica, secondo l’Istat, ha coinvolto 110mila ragazzi tra i 18 e i 24 anni solo nel 2013. La percentuale italiana è pari al 17%, di ben sette punti al di sopra della media europea e al quarto posto tra le “maglie nere” comunitarie. Il picco di “early school leavers” – ragazze e ragazzi che si fermano alla terza media fuori da qualsiasi altro percorso formativo – si raggiunge nei sobborghi del Mezzogiorno, dove regioni come Campania e Sicilia toccano il tasso del 22%.
L’abbandono scolastico è frutto di numerosi fattori, ma al centro di questo fenomeno ci sono il contesto familiare, che vede spesso genitori assenti e poco propensi alla cultura, e scuole disattente alle peculiarità del singolo studente, ai suoi problemi e alle sue necessità. In molti istituti italiani mancano assistenza, sostegno, programmi formativi che motivino lo studente a svegliarsi la mattina per diventare “un cittadino”. Spesso non ci sono tecnologie fondamentali come la connessione wireless e uno studente su due, secondo l’ultimo studio di skuola.net, ha dichiarato di non aver mai visto un computer a lezione. Inoltre in molte città diverse associazioni hanno evidenziato una vera e propria “emergenza scuola”: a Perugia è la Caritas a finanziare le spese scolastiche dei nuclei familiari affetti dalla crisi e questo disagio, per molti bambini, diventa il deterrente principale nel proseguimento degli studi.
A combattere questa problematica, nei territori del meridione, è stata tra le altre l’associazione Save The Children, che nel 2012 ha dato il via al programma “Fuoriclasse”. Il progetto ha coinvolto 750 studenti tra Crotone, Scalea e Napoli, e si è impegnato a promuovere, anche in estate, laboratori e azioni di supporto allo studio per studenti a “rischio abbandono”: quei ragazzi, cioè, che contavano il maggior numero di ritardi e assenze e che avevano la media scolastica più bassa. In due anni “Fuoriclasse” è riuscito a dimezzare i numeri critici e ha incrementato la media dei ragazzi interessati fino al 6%. “Alla base di questa situazione, che vede l’Italia agli ultimi posti nella classifica europea – ha dichiarato Raffaela Milano, direttore Programmi Italia-Europa di Save the Children – c’è una condizione diffusa di ‘povertà educativa’ che affligge tutto il Paese e in modo particolarmente acuto le regioni del Sud: servizi per la prima infanzia quasi inesistenti, poche scuole a tempo pieno, nessuna opportunità sul territorio di sport, di musica e di altre attività creative”.
Al valore della conoscenza, dell’entusiasmo nei confronti del mondo e della propria vita non si da più spazio. La pervasività delle reti criminali, secondo Raffaella Milano, favorisce situazioni di “sfruttamento lavorativo pronte ad arruolare i più giovani”. Quelli come Mattia, a cui nessuno ha insegnato i propri diritti. E questo è uno schiaffo che oggi fa più eco delle mille riforme annunciate su schermi e giornali. Si parla di annientamento del precariato tra i professori, stanziamenti miliardari per ristrutturare le scuole, inserimento di intere lezioni in seconda lingua, far studiare a tutti l’economia, di avvicinare la scuola al mondo del lavoro, far investire i privati nei laboratori e di mettere al centro della prima prova il saggio breve. Si parla del “contenitore”, dunque, ma quasi mai si parla del “contenuto”, cioè degli studenti.
Molti istituti – è vero – cadono a pezzi e la maggior parte degli italiani non parla l’inglese. Ma se non si “riforma” lo studente, se la necessità di motivare un giovane ad andare a scuola non diventa il primo obiettivo per coloro che la scuola la fanno, arriverà forse il giorno in cui, ad imparare, non vorrà andarci più nessuno.