“Mamma oggi la maestra mi ha sgridato perché non mi volevo vestire da femmina. Abbiamo fatto un gioco dove i maschi si vestivano da femmine e le femmine da maschi, ma io non volevo”. Questo è ciò che accade in alcune scuole materne di Roma. Queste le conseguenze della teoria del gender, imposta nelle aule per essere al passo con i tempi. Ma di cosa si tratta? In breve afferma che non esistono differenze, se non culturali, tra maschi e femmine, che l’identità di ognuno prescinde dal dato biologico, ed è determinata da modelli culturali e sociali. Anche il volto della famiglia si modifica, infatti i ruoli tradizionali vengono spezzati per lasciare spazio a quelli “fluidi” e interscambiabili. Quindi anche la complementarietà naturale dei due sessi non sarebbe altro che un’ideologia in cui l’eterosessualità non è di certo la norma.
Alcuni genitori hanno deciso di andare a fondo nella questione, per capire cosa stesse accadendo all’interno degli edifici scolastici. E lo hanno fatto dando uno sguardo all’Europa; in Svezia è nato l’asilo “Egalia” per bambini neutri che sceglieranno in seguito il proprio genere, in Germania l’insegnamento delle teorie del gender fin dal nido è obbligatoria e se non si è d’accordo si viene espulsi.
In Svizzera, più pragmatici, hanno creato dei “sex box”, scatole contenenti organi genitali maschili e femminili di peluche per insegnare ai bambini il piacere fisico. L’Italia sta cercando di allinearsi ai paesi Ue, adeguandosi pian piano agli standard sull’educazione sessuale redatti dall’Oms, l’agenzia Onu per la salute, in un documento redatto nel 2010 a Colonia.
Tali direttive prevedono peculiarità differenti a seconda delle fasce d’età: tra i 0 e i 4 anni si deve “acquisire consapevolezza dell’identità di genere” e scoprire “gioia e piacere nel toccare il proprio corpo”, tra i 4 e i 6 anni affrontare il tema “dell’amicizia e dell’amore nei confronti di persone dello stesso sesso”, tra i 6 e i 9 anni capire “l’idea alla base della contraccezione” e conoscere quindi “vari metodi contraccettivi, la masturbazione e la stimolazione”, tra i 9 e i 12 anni affrontare il tema dei “sintomi, rischi e conseguenze delle esperienze sessuali non protette, come gravidanze indesiderate”. Ma già stanno circolando dei libri illustrati nei nidi e nelle materne che affrontano temi delicati anche per gli adulti, come matrimoni omosessuali o fecondazione assistita. Per esempio nella favola “Perché hai due mamme?” si legge: “Mari e Franci si amavano e volevano una famiglia. Ma per fare un bimbo ci vogliono un uomo e una donna. Allora in una clinica olandese…”. Un’altra iniziativa è l’introduzione nelle materne di bambole “sessuate”, ovvero anatomicamente corrette per permettere – dicono – ai minori una migliore conoscenza del corpo umano.
In tutto questo sembra che mamme e papà non siano quasi mai informati, o comunque non gli viene richiesta un’opinione, anche se “I genitori hanno il diritto di priorità nella scelta del genere di istruzioni da impartire ai loro figli”. Non c’è niente di bigotto, omofobo o preoccupante in questo articolo 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, anzi, sembra essere l’evoluzione naturale delle cose, perché chi meglio di un familiare può sapere cos’è meglio per un bambino ancora incapace di intendere e di volere? È proprio da questo punto che è partito un gruppo di madri, padri, insegnanti, pedagogisti e specialisti nell’educazione su tutto il territorio italiano, che si sono uniti per cercare di informarsi su cosa stesse accadendo ai bimbi nel percorso della loro educazione scolastica obbligatoria, per opporsi all’introduzione sempre più prepotente e incontrastabile delle teorie del gender fin dall’asilo nido.
Per dare uno schiaffo alla dittatura di questa ideologia dominante si è formato a Roma il Comitato Articolo 26, apolitico e apartitico, che rifiuta l’insegnamento del gender nelle scuole. Non si tratta di contrastare valori come la tolleranza e il rispetto, ma cercare rispettare le naturali esigenze del bambino, che può ricevere dai genitori le risposte adeguate alle sue domande e non standardizzate da norme europee.
In un momento in cui i processi psicologici sono ancora in costruzione e quelli fisiologici in evoluzione, il bambino ha bisogno di certezze più che in ogni altra fase della propria vita; distruggere il concetto base per cui l’uomo è una cosa e la donna un’altra, mina la sua stessa identità, confonde invece di chiarire. Esattamente l’opposto della missione per cui la scuola stessa è nata. Un’operazione dunque non solo eticamente discutibile, ma didatticamente inaccettabile.