Heyva Sor a Kurdistanê è la più estesa organizzazione umanitaria per il Kurdistan e domani 17 gennaio verrà inaugurata la sua sede italiana a Livorno, l’associazione “Mezzaluna Rossa Kurdistan Italia”. L’inaugurazione, voluta dal Comune e dalla Provincia di Livorno, si svolgerà alle 17.30 presso il Nuovo Teatro delle Commedie in via Terreni. Si inzierà con un incontro che vedrà l’intervento del direttivo dell’associazione, composto da Alican Yildiz, Barbara Mancini e Şevda Sunmez; Yilmaz Orkan (presidente dell’Ufficio Informazione Kurdistan); Erdal Karabey (presidente dell’Associazione culturale Kurdistan);Vahdettin Kilic (vice presidente di Heyva Sor a Kurdistane); Ivan “Grozny” Compasso (giornalista freelance autore di un recentissimo reportage su Kobanê); Alberto Mari (membro della delegazione italiana nei campi profughi del Kurdistan iracheno). Modera Martina Bianchi (PhD in Diritto internazionale all’università di Pisa e studiosa del confederalismo democratico). Il meeting si chiuderà con un concerto e una cena curda.
L’associazione umanitaria è stata creata dai cittadini curdi in collaborazione con i volontari italiani. Esisteva in Germania dal 1993 ed è nata dalla esigenza di sostenere il popolo curdo vittima degli attacchi tutt’ora attivi da parte dell’Isis e dal tentativo di difendere i più deboli dai soprusi e dalle violenze che la guerra scatena, calpestando i diritti umani. La Onlus finora ha portato aiuti nelle zone più colpite e più povere come Mosul e Kirkuk dove i civili hanno subito pesantissime torture dal califfato islamico che non ha risparmiato neppur ei musulmani da violenze, stupri etnici, massacri e riduzione in schiavitù. Una minoranza curda antichissima ha scampato il genocidio grazie agli intervento delle milizie curde del nord Iraq e della Siria. I volontari raccoglieranno, nei primi mesi, coperte, latte, indumenti, medicine e ogni attrezzatura necessaria a improvvisare ospedali da campo per dare primo soccorso agli oltre 122000 i rifugiati che dal distretto di Kobane si sono riversati nella regione di Urfa, nel sud della Turchia, all’interno di campi-profughi autogestiti.