Quando si parla di carcere, in Italia, vengono in mente parole come “celle sovraffollate”, “suicidio”, “fine pena mai”. Termini orribili che riportano alla realtà quotidiana di migliaia di persone rinchiuse per giorni, mesi o anni dietro un muro spesso fatto di solitudine ed emarginazione. Poi, una volta usciti dal quel “mondo altro”, il deserto sociale che si crea intorno all’ex detenuto – lasciato spesso solo ad affrontare la fatica del reinserimento e la difficoltà a trovare un lavoro onesto – lo spingono a delinquere di nuovo. Si crea così un circolo vizioso dal quale sembra non possa esserci uscita. Sembra…ma non è così per tutte le realtà carcerarie d’Italia.
Esiste un luogo (benché di reclusione) dove gli uomini possono lavorare anche all’esterno, coltivano l’orto, producono dolci nella pasticceria interna, collaborano alla costruzione dei padiglioni dell’Expo e…hanno uno studio di registrazione vero e proprio. Non si tratta di un albergo cinque stelle, ma della Casa di Reclusione di Bollate, in provincia di Milano, il maggior esempio italico di come un carcere potrebbe – e dovrebbe – essere.
Nei giorni scorsi un gruppo di persone detenute ha incontrato il senatore Luigi Manconi e il presidente di Osservatorio Antigone Patrizio Gonnella. Gli ospiti sono stati accolti dal Vice Comandante Piera Denti e accompagnati all’interno del Quarto reparto, quello dedicato al Trattamento avanzato, sede della redazione del giornale Carte Bollate e della Radio del carcere, che da cinque anni presenta una trasmissione settimanale su Popolare network. Qui una schiera di giornalisti detenuti attendeva Manconi, uno dei politici italiani che negli ultimi decenni si è maggiormente speso per il mondo carcerario, per intervistarlo.
“Da quello che fate vedo che siete riusciti a trasformare il tempo vuoto del carcere a tempo pieno di senso, tutta l’opinione pubblica dovrebbe capire, vedere come si lavora qui a Bollate”, ha sottolineato Manconi ai presenti. Dalla “sala stampa”, il senatore è stato accompagnato in sala di registrazione dove sono state eseguite alcune canzoni dalla band composta da detenuti e guardie carcerarie insieme.
“L’idea del carcere come un luogo buio, triste e lontano dalla vita di tutti i giorni nuoce agli stessi detenuti, perché non c’è peggior cosa della mancanza di comunicazione con l’esterno per chi è dietro le sbarre. Bollate è riuscito a ribaltare questa visione, la speranza è che ci riesca anche qualcuno degli altri 204 Istituti di pena italiani”, ha ribadito Manconi. Un luogo, Bollate, che recupera e non punisce, dove un detenuto che dimostri di volere ripagare la società per il danno inflittole, trova una possibilità concreta. “Lo capiscono anche gli alunni delle tante scuole che vengono a farci visita – conclude la Vice Comandante Denti – entrano con un’opinione di questo mondo, ne escono con tutt’altra, molto più positiva”. Un passo deciso verso quella integrazione senza pregiudizi per cui c’è ancora molto da fare.