In questa estate rovente arrivano spesso notizie di smarrimenti: c’è chi si perde gli orecchini sulla spiaggia, chi il cellulare al ristorante, chi gli occhiali da sole in negozio. Ma perdersi 8 milioni di euro in valori bollati fa davvero effetto. Ancor più se a farlo sono le Poste Italiane, e se a chiedere il risarcimento è addirittura l’Agenzia delle Entrate. La notizia è proprio di luglio, registrata alla sentenza n.332 emessa dalla Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, che ha condannato “l’agente contabile Poste Spa… alla refusione dell’intera somma”.
In pratica una serie considerevole di valori bollati e dichiarati fuori corso di validità dovevano essere distrutti. Solo che, alla fine del procedimento di eliminazione fisica dei “titoli”, è emersa l’esistenza di una rimanenza per un valore di oltre 8 milioni di euro dei quali però è scomparsa qualunque traccia.
Più che il “colpo del secolo”, però, potremmo definirla la “distrazione”; già, perché qui non si parla di un furto perpetrato da qualche novello Arsenio Lupin, bensì di un colossale disguido burocratico, matassa della quale, alla fine, nessuno è riuscito a trovare il bandolo.
Le Poste, infatti, hanno provato a esibire i documenti riguardanti la distruzione, e in parte ci sono riuscite. Peraltro, andando indietro nel tempo e risalendo all’emissione di quei valori bollati, si è scoperto che in parte erano addirittura del 2002, periodo nel quale si è passati dalla Lira all’Euro, con notevoli difficoltà nella gestione stessa del passaggio.
Nulla da fare. Nella sostanza, in questi anni si sono perse per strada le tracce di 8 milioni di euro. L’Agenzia delle Entrate, così come capita anche ai normali cittadini, si è rivelata inflessibile, e ha chiesto letteralmente il conto. Gli avvocati di Poste Italiane hanno sottolineato come dal momento della sottoscrizione della convenzione tra i due Enti, addirittura risalente al marzo 1995, il servizio si sia svolto regolarmente con controlli ripetuti, e che l’Amministrazione finanziaria non abbia mai eccepito nulla. Quanto alla squadratura tra le rimanenze finali e le giacenze fisiche, si è parlato di una questione fisiologica, “in relazione ai numerosi uffici facenti parte della rete di distribuzione”.
Non solo, ma la responsabilità integrale di Poste per qualsiasi rischio correlato alla mancata rendicontazione è stata definita alla stregua di una clausola vessatoria. Una situazione, quest’ultima, molto simile a quella in cui tanti italiani si trovano, costretti a dover esibire al fisco pezzi di carta che attestino pagamenti già effettuati e per i quali, in mancanza di pezze d’appoggio, si è costretti a pagare due volte. “Vessazioni” a cui l’erario spesso ci ha abituato. Uno schiaffo alla logica.
In questo caso, piccoli contribuenti e grandi enti sono stati messi sullo stesso piano, o se vogliamo sulla stessa graticola. L’Agenzia delle Entrate ha fatto ricorso alla Corte dei Conti, che alla fine le ha dato ragione. Quell’ammanco va coperto, a prescindere se si tratti di un mero errore contabile, se quei valori siano ormai fuori corso e dunque… senza valore. Nessuna pietà nemmeno dopo che Poste ha tentato di ridurre l’entità dell’obbligo di restituzione esibendo copie di stampa di “contabili” riferite ai valori bollati esistenti presso le varie proprie filiali. Condanna piena, dunque, con tanto di rivalutazione monetaria e interessi legali.
Il caos burocratico, che è la bestia nera dei rapporti nel nostro Paese, ha mietuto dunque un’altra vittima. Eccellente, stavolta.