È dedicata al tema “foreste e cibo” la giornata 2025 per le foreste, ricorrenza internazionale istituita dalle Nazioni Unite per sensibilizzare il pianeta, ogni 21 marzo, sull’importanza dei boschi per il clima, il territorio, i servizi ecosistemici. Il tema di quest’anno sottolinea dunque un punto fondamentale, il ruolo che hanno le foreste nel garantire sicurezza alimentare, nutrizione, mezzi di sussistenza.
Oggi va colta l’occasione per valutare i tanti passi ancora da compiere e quelli già realizzati sia in ambito scientifico, soprattutto attraverso le scienze forestali, che nell’approccio culturale e umanistico ai boschi e in generale alla cura dell’ambiente, come avvenuto ad esempio con l’enciclica Laudato Si di Papa Francesco o con il risveglio di una coscienza ambientalista, seppure a volte ingenua, specialmente nelle nuove generazioni.
L’impressione è che alle conquiste costruite nel tempo non corrispondano altrettanti passi in avanti in quel mondo del lavoro che sta alla base delle politiche forestali. Forse la politica continua a concepire la forestazione come un sistema a sé di tipo materiale, quando invece andrebbe concepito come un sistema biologico complesso, che secondo una definizione dell’Accademia Italiana per le Scienze Forestali per la prima volta nel 1995 venne considerato come sistema che “svolge un ruolo determinante per il mantenimento della vita sul pianeta” e in quanto tale “ha un valore in sé”, dunque “è un soggetto di diritti che va tutelato, conservato e difeso”.
Questo sistema è intimamente legato alle radici quanto al destino dell’uomo, delle città, del nostro habitat quotidiano, e perciò parte integrante delle nostre attività produttive e del nostro rapporto con il territorio. Gli studiosi di scienze forestali parlano in proposito di un approccio bioeconomico che vede connesso il sistema forestale a tre E: ecologia, economia, etica. Perché non c’è prosperità economica senza la cultura, non può esserci crescita senza istruzione e formazione, non può esserci sistema ambientale senza conoscenze tecnicoscientifiche, non può esserci dunque una sana politica pubblica se l’uso del bosco va a danneggiare il suolo, il paesaggio, la fauna di un territorio. In questo senso la foresta va concepita come bene di interesse pubblico.
Dunque non partiamo da zero. Veniamo da anni di importanti cambiamenti culturali e politici. Non penso solo a Papa Francesco, ma anche alla Cop21 di Parigi del 2015, ai 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile da raggiungere entro il 2030, al Forum Foreste del 2016, al TUFF, Testo Unico in materia di Foreste e Filiere forestali, pubblicato nel 2018, alla Strategia Forestale Nazionale, che forse per la prima volta ha puntato a mettere in campo una pianificazione nell’ottica di una politica ventennale.
Per questo appare ancora più scandaloso che si continuino a registrare gestioni del comparto forestale di vecchio stampo. Spesso le nostre foreste sono state abbandonate secondo un’idea semplicistica di ambientalismo che nascondeva in realtà una visione ben più materiale: le attività di selvicoltura sono costose e poco redditizie. Ecco perché come sindacato agroalimentare e ambientale chiediamo da tempo una svolta per riformare il lavoro idraulico-forestale riconoscendone il valore produttivo e nel contempo di interesse pubblico, seppure nell’ambito di un contratto di natura privata che non gravi sulle pubbliche amministrazioni ma, al contrario, diventi fattore di sviluppo sostenibile, tutela del territorio, crescita delle filiere energetiche e del legno, del turismo, dell’artigianato.
La sfida dunque va giocata su tre fronti: primo, creare una vera cultura del bosco e delle foreste, da divulgare a ogni livello, coinvolgendo soprattutto le giovani generazioni; secondo, realizzare politiche nazionali ed europee coerenti tra loro e con le avanzate conoscenze di cui disponiamo oggi; terzo, considerare il lavoro idraulico-forestale come leva essenziale per lo sviluppo e per governare la crisi climatica, anche unendo la transizione ecologica con il contrasto allo spopolamento delle aree interne e rurali del nostro Paese.
Quest’ultimo approccio è certamente presente nelle rivendicazioni che proponiamo da anni, così come nell’ultima proposta contrattuale. Siamo infatti in attesa di essere convocati dalle controparti per il rinnovo del Ccnl di settore, scaduto il 31 dicembre scorso. Abbiamo approvato a fine settembre 2024 la piattaforma unitaria e va sottolineato che si tratta di una proposta avanzata, che evidenzia in primis l’importanza della gestione delle foreste e delle politiche di sostegno a un settore da ritenere strategico a livello ambientale, economico e sociale.
Il contratto servirà anzitutto per valorizzare le competenze e le professionalità delle lavoratrici e dei lavoratori, tutelando il loro potere d’acquisto con un aumento della retribuzione adeguato, prevedendo la riduzione dell’orario di lavoro, maggiori verifiche sugli appalti, il riconoscimento dell’anzianità professionale degli operai, più formazione, maggiore contrasto alla violenza di genere, lotta alla precarietà con stabilizzazioni occupazionali e semplificazioni del turnover.
Senza queste conquiste, è inimmaginabile una politica forestale realmente moderna e sostenibile, capace di integrarsi perfettamente con la transizione dall’economia lineare a quella circolare e con quei 3,1 milioni di occupati che, secondo la Fondazione Symbola e Unioncamere, sono legati già, in Italia, a una professione verde, il 13,4% del totale.
Non lasciamo che le priorità della politica internazionale e delle gravi crisi che stiamo vivendo facciano passare in secondo piano le priorità del lavoro, in particolare quello agroalimentare e quello ambientale, dai quali dipendono la nostra sussistenza e la vita stessa del pianeta. E ricordiamo sempre che una foresta che nutre, deve anche essere nutrita e curata con il presidio umano dei lavoratori e delle lavoratrici.