Una data storica per la Chiesa contemporanea. Venti anni fa, il 25 marzo 2005, Venerdì santo, il cardinale Joseph Ratzinger, a causa delle condizioni di salute di Giovanni Paolo II che morirà una settimana dopo, guidò le meditazioni della Via Crucis al Colosseo. In quell’occasione il futuro Benedetto XVI pronunciò forti parole sulla Chiesa. descrivendo una cristianità che “si è stancata della fede e ha abbandonato il Signore“. Disse il teologo bavarese destinato da lì a poco a salire al soglio di Pietro: “Signore, spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti. E anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli! Siamo noi stessi a tradirti ogni volta, dopo tutte le nostre grandi parole, i nostri grandi gesti. Abbi pietà della tua Chiesa!“. Per capirne le ragioni occorre seguire lo sviluppo del suo cammino di vita e di fede. Prima, però, va sgomberato il campo dagli equivoci attorno alle battaglie bioetiche intraprese da Benedetto XVI, facendo chiarezza su una formulazione che ha contrassegnato l’intero pontificato. Quella dei principi non negoziabili che riguardano la bioetica (difesa della vita, della famiglia, di libertà educativa). I difensori della bioetica cattolica sono chiamati Teocon. In particolare, negli Stati Uniti, sono definiti Teocon coloro che, ispirati da correnti e orientamenti cristiani integralisti, abbracciano posizioni radicalmente conservatrici. Con aperto sostegno alla dottrina cattolica, specialmente su alcuni particolari temi di bioetica e di diritto familiare.

Radice storica
A trasformare in fan i think tank conservatori, negli Stati Uniti e in Italia, fu prima la consonanza sulle questioni economiche e poi su quelle bioetiche. Per Joseph Ratzinger la finanza è “il ponte tra presente e futuro”. Nel suo approccio teologico divenne sempre più stretto il connubio tra fede e ragione, anche nei fenomeni socioeconomici ebbe un approccio razionale, con un’evidente tendenza alla concretezza. L’interesse per l’economia ha radici antiche in Vaticano. Con la Rerum Novarum, Leone XIII avviò nel 1891 la Dottrina sociale della Chiesa La categoria della “non negoziabilità” è emersa per la prima volta nel Magistero della Chiesa nella Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica emanata il 24 novembre del 2002 dalla Congregazione per la dottrina della fede. La Nota era firmata dal cardinale Joseph Ratzinger, nella qualità di Prefetto della Congregazione e venne approvata da Giovanni Paolo II. Nel paragrafo 3 della Nota si ribadisce che “non è compito della Chiesa formulare soluzioni concrete – e meno ancora soluzioni uniche – per questioni temporali che Dio ha lasciato al libero e responsabile giudizio di ciascuno”. “Se però”, aggiunge la Nota, il cristiano è tenuto ad “ammettere la legittima molteplicità e diversità delle opzioni temporali”, egli è ugualmente chiamato “a dissentire da una concezione del pluralismo in chiave di relativismo morale, nociva per la stessa vita democratica, la quale ha bisogno di fondamenti veri e solidi, vale a dire, di principi etici che per la loro natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale non sono negoziabili”. Nel prosieguo della Nota, in particolare nel paragrafo 4, si procede a una esemplificazione di questi principi, dopo aver ribadito che “la partecipazione diretta dei cittadini alle scelte politiche si rende possibile solo nella misura in cui trova alla sua base una retta concezione della persona”.

Esigenze etiche
Le esigenze etiche fondamentali e irrinunciabili, nelle quali è in gioco l’essenza dell’ordine
morale, che riguarda il bene integrale della persona, sono quelle che emergono nelle leggi civili in materia di aborto e di eutanasia, quelle che concernono la tutela e la promozione della famiglia, fondata sul matrimonio monogamico tra persone di sesso diverso, protetta nella sua unità e stabilità e alla quale non possono essere giuridicamente equiparate in alcun modo altre forme di convivenza; quelle che garantiscono la libertà di educazione ai genitori per i propri figli. La Nota richiama la tutela sociale dei minori e la liberazione delle vittime dalle moderne forme di schiavitù (come la droga e lo sfruttamento della prostituzione), includendo in questo elenco il diritto alla libertà religiosa e lo sviluppo per un’economia che sia al servizio della persona e del bene comune, nel rispetto della giustizia sociale, del principio di solidarietà umana e di quello di sussidiarietà. E infine si richiama come essenziale in questa esemplificazione il grande tema della pace. Del resto il discernimento critico esercitato da Joseph Ratzinger sui testi prodotti nella fase preparatoria del Concilio aveva raggiunto il suo culmine già nel settembre del 1962. A meno di un mese dall’apertura del Vaticano II, Ratzinger lo applicò al primo corpus di sette schemi predisposti in forma definitiva dalle Commissioni preparatorie. In un testo ultimato a metà settembre (e “girato” con la propria firma e senza ulteriori aggiunte del cardinale Frings al segretario di Stato Amleto Cicognani) si nota che le valutazioni positive erano state riservate soltanto ai due schemi sul rinnovamento liturgico e sull’unità con le
Chiese d’Oriente.

nella foto: Papa Benedetto XVI
Necessità del tempo
Secondo il futuro Benedetto XVI, solo tali testi di lavoro corrispondevano molto bene allo scopo del Concilio stabilito dal Romano Pontefice. Tutti gli altri schemi, soprattutto quelli elaborati dalla Commissione teologica preparatoria, preseduta dal cardinale Ottaviani, vennero giudicati dal futuro Papa Benedetto XVI come “troppo scolastici”. Secondo Ratzinger, se l’intento era il rinnovamento della vita cristiana e l’adattamento della disciplina della Chiesa alle necessità del tempo, era metodologicamente importante evitare che il Concilio si fosse impantanato fin dal suo avvio in questioni complicate sollevate dai teologi, che le persone non potevano afferrare e che avrebbero finito per turbarle. Bocciò lo schema sulla preservazione della purezza del depositum fidei, affermando: “è così carente che in questa forma non può essere proposto al Concilio”. Per quello dedicato alle “fonti” della divina Rivelazione, Ratzinger suggerì cambiamenti sostanziali di struttura e di contenuto. Mentre quelli dedicati all’ordine morale cristiano, alla verginità, alla famiglia e al matrimonio furono da lui liquidati con argomenti di opportunità pastorale. Essi, secondo il futuro Benedetto XVI, travolgevano il lettore con la loro eccessiva abbondanza di parole, mentre i testi conciliari “dovrebbero dare risposte alle questioni più urgenti e dovrebbero farlo, per quanto possibile, non giudicando e condannando, ma usando un linguaggio materno, con un’ampia presentazione delle ricchezze della fede cristiana e delle sue consolazioni“.

Consapevolezza
Dai contributi offerti al cardinale Frings, già nella fase preparatoria del Concilio, si intuiva quindi che Joseph Ratzinger non giunse all’appuntamento col Vaticano II in maniera sprovveduta. “Il giovane professore bavarese appariva ben consapevole di ciò che è in gioco in quell’evento ecclesiale, ancor prima del suo inizio”, commenta il vaticanista Gianni valente, direttore di Fides. C’è un tratto che contraddistingue il ruolo conciliare di Ratzinger ed è una nota di fondo che risuonò poi per più di cinquant’anni nei pensieri, nelle parole e nelle iniziative: la Chiesa è di Cristo. Vive nel mondo come riflesso della sua luce. Cresce nel mondo in forza della sua Grazia. Ed era questo, per il futuro Benedetto XVI, il volto più intimo e autentico della Chiesa che il Concilio doveva riproporre al mondo, nel suo intento di aggiornamento. È nel coraggio di fronteggiare le sfide del mondo contemporaneo modernizzando la tradizione che il giovane perito conciliare anticipava e lasciava presagire quello che sarà, nel tempo, il proprio contributo alla Chiesa universale. In un crescente gioco di rimandi tra passato e presente, emergerà progressivamente che riconoscere la grandezza dell’uomo Joseph Ratzinger e del suo contributo per il rinnovamento della Chiesa non può limitarsi agli otto anni del suo pontificato. “Aveva presentato per l’abilitazione alla docenza una tesi dottorale bocciata dal correlatore Michael Schmaus che la accusò di modernismo”, ricostruisce Gianni Valente. “Ratzinger ha dovuto eliminare varie parti della tesi e limitarsi a sviluppare la parte che si dedicava ai rapporti tra la teologia della storia di san Bonaventura e le speculazioni dell’abate Gioacchino da Fiore”. Già nelle prime sedute conciliari intuì che “l’armata di Cristo in questa ora ha altre cose da fare che entrare in dispute accademiche. Il mondo non sta attendendo da noi altre sottigliezze di un sistema, ma aspetta di ascoltare la risposta della fede nell’ora della non fede”. Ratzinger colse il senso della sfida pastorale lanciata da Giovanni XXIII. E collaborò con Karl Rahner per dichiarare la dipendenza della Chiesa dalla Parola di Dio. Al Concilio, insomma, Ratzinger diventò il futuro Papa e non passò inosservato, come confermano due tra i più importanti teologi del Novecento. Yves Congar scrisse nel proprio Diario del Concilio: “Fortunatamente c’è Ratzinger. È ragionevole, modesto, disinteressato, di buon aiuto”. Henri de Lubac lo definì “un teologo tanto pacifico e benevolo quanto competente”.