Il pontificato di Francesco come nuova evangelizzazione. Nella bolla di indizione del Giubileo scrive il Pontefice: “Come sembra difficile tante volte perdonare! Eppure, il perdono è lo strumento posto nelle nostre fragili mani per raggiungere la serenità del cuore. Lasciar cadere il rancore, la rabbia, la violenza e la vendetta sono condizioni necessarie per vivere felici”. All’indomani del Sinodo dei Vescovi sulla Nuova Evangelizzazione, nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, Jorge Mario Bergoglio ha affidato il cammino della Chiesa alla materna e premurosa intercessione di Maria, perché ogni volta che guardiamo a Maria torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto. In lei vediamo che l’umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti, che non hanno bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importanti. Perciò questa dinamica di giustizia e di tenerezza, di contemplazione e di cammino verso gli altri, è ciò che fa di lei un modello ecclesiale per l’evangelizzazione. La notte di Natale Francesco ha sottolineato, durante la celebrazione nella basilica di San Pietro: “La vita va affrontata con bontà, con mansuetudine, quanto bisogno di tenerezza ha oggi il mondo, la risposta del cristiano non può essere diversa da quella che Dio dà alla piccolezza umana“. Con la stessa intensità nell’omelia della domenica delle Palme, il Papa ha lanciato un accorato appello ai giovani: “Lasciatevi riempire dalla tenerezza del Padre, per diffonderla intorno a voi“.

Evidenzia papa Francesco: “Colpisce l’atteggiamento di Gesù. Non sentiamo parole di disprezzo, non sentiamo parole di condanna, ma soltanto parole di amore, di misericordia, che invitano alla conversione“. Gli ecclesiologi richiamano la fortunata espressione “nuova evangelizzazione”, prima in sordina nel magistero di Paolo VI, poi “esplosa” in quello di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Essa stava ad indicare, appunto, una reazione a una generalizzata caduta di uno “stato di cristianità”. A ben vedere nella storia della Chiesa è andata sempre un po’ così. Il primo Concilio ecumenico, il Niceno (325), ebbe una fase di recezione e applicazione molto lunga e travagliata (come mostra bene il “secolo delle controversie ariane”) che inglobò anche alcuni successivi concili ecumenici, i quali ne approfondirono e radicarono sempre più i significati nella vita ecclesiale. Analogamente agli albori dell’età moderna, il Tridentino (1545-1563), che ha scandito quattro secoli di vita ecclesiale, ci insegna quanto lunga e faticosa possa essere l’assimilazione di determinati principi, per esempio quello della residenza dei vescovi, oppure la formazione del futuro clero. Quanto all’attuazione del Vaticano II – evento non recente ma recentissimo, considerati i tempi lunghi della storia – essa può, senza stupore, considerarsi un processo non ancora compiuto, anche nel “centro europeo” della cristianità, dunque ancora in itinere, tale cioè da non poter essere valutato in maniera perentoria e definitiva. Francesco dà voce alla tendenza dell’epoca postmoderna. La riscoperta dell’uomo libero da astrazioni e intellettualismi. Le sue parole nascono dell’interpretazione dei segni del tempo.

Jorge Mario Bergoglio incarna la risposta efficace alla reale sfida della comunicazione. Non si tratta di un problema che riguarda i mezzi o gli strumenti da utilizzare, ma piuttosto di un problema che riguarda la comunione, la vicinanza e soprattutto la testimonianza di un Dio misericordioso. Ciò non significa edulcorare il messaggio del Vangelo per far sì che sia più vicino alla società, ma al contrario affermare l’esigenza di una radicalità della vita cristiana. Oggi la Chiesa, nel campo della comunicazione, deve anche essere capace di recuperare l’universo simbolico nella capacità creatrice della parola e nel potere evocatore dell’immagine. Questi due elementi offrono nuove possibilità di rinnovamento del linguaggio, che deve essere capace di creare nelle differenti culture luoghi dove sia possibile percepire la presenza del sacro sia a livello personale che comunitario. Perciò, mistica e social. La nuova evangelizzazione ha un cuore antico. I poveri, sia per la condizione di indigenza, sia per il tendenziale non attaccamento a beni che non posseggono, sono quelli che, meglio di altri, ci possono ripetere il Vangelo che è Gesù Cristo e, quindi, ricordarci meglio il volto misericordioso, paterno e materno di Dio.
