Mercoledì 5 marzo, iniziamo la quaresima, con la celebrazione di un rito: le ceneri. E’, questo, un cammino di abbandono: chiniamo il capo per riconciliarci con i fratelli e con il Padre e, insieme come popolo, scegliamo di rimettere Cristo al centro del nostro cuore, per fare di lui il cuore del mondo.
E’ composta da sei settimane che ci separano dal grandioso momento della grazia che ci invade e che rende presente la morte e risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo. In questa quaresima, il Signore ci chiede tre cose. Siamo chiamati al digiuno, che non consiste solo nel non mangiare. C’è anche un digiuno più profondo: confessare a se stessi quanto si è invidiosi, quanto si vuole vedere il fallimento degli altri! E quant’è duro il digiuno del riconoscere che non siamo proprietà nostra, ma siamo l’espressione dell’amore di Dio. Digiunare significa rinunciare a consumare ingiustamente, perché, come ricorda don Oreste Benzi, “il digiuno è prima di tutto un atto di giustizia”.
La quaresima è un tempo rivoluzionario nel quale siamo invitati a passare dalla timida elemosina, con cui restituiamo un poco di quello che abbiamo, alla condivisione che ci spinge a donare tutto, condividendo tutto. L’elemosina è un timido atto di giustizia e una leggera riparazione. Ricordiamo quello che disse san Vincenzo de’ Paoli ad una suora: “Solo per il tuo amore i poveri ti perdoneranno il pane che tu dai a loro. E tu dopo aver fatto l’elemosina mettiti in ginocchio perché hai fatto l’elemosina al povero”. Continuando a farla, ma a forza di metterci in ginocchio, non diremo più a chi abbiamo beneficato: “Prendi la fetta di pane e mangia”, bensì diremo: “Vieni a mangiare alla mia tavola!”. E la rivoluzione sarà completa. Allora ci si apriranno i cieli e la sapienza di Dio entrerà nel nostro cuore!
La quaresima, infine, è un tempo di preghiera e di immersione in Dio per riscoprire che la relazione con l’Eterno ci apre all’infinito e ci fa sperimentare la vera gioia, la vera vita. E’ la più bella avventura del mondo ed è la beatitudine che hanno sperimentato Pietro, Giacomo e Giovanni assistendo alla trasfigurazione di Gesù che ascolteremo nel racconto del Vangelo di Luca il 16 marzo, seconda domenica di questo tempo di grazia: il popolo di Dio si rinnova nel suo cammino in Cristo Gesù.
Tutti noi che facciamo parte di questo popolo, a partire dai vescovi, dai presbiteri e dai diaconi, dai religiosi, dalle consacrate, da tutte le famiglie nel loro insieme, dagli anziani e dai giovani, dai piccoli e dai grandi, ognuno seguendo la propria vocazione, il proprio carisma, siamo chiamati a convertirci a Gesù, fino al punto di poter dire: “e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20). Il primo passo da compiere tutti insieme è una solenne riunione di popolo, con la celebrazione della confessione e dell’eucaristia.
Come ascoltiamo nella seconda lettura di oggi, per portare la riconciliazione nel mondo Gesù ha pagato di persona. Il culmine della sua azione espiatrice Cristo l’ha raggiunto sulla croce, da dove ha cominciato ad attirare a sé tutti gli uomini. Noi siamo coloro che si lasciano crocifiggere continuamente perché incessante deve essere la nostra opera di riconciliazione.
Essa è un cocktail di elementi: immersione nell’amore di Cristo, preghiera intensa, amore gratuito, silenzio adorante, rigetto dell’orgoglio. La riconciliazione, per essere efficace, richiede l’espiazione, cioè il far ricadere su di sé tutti gli improperi dei non riconciliati, offrendosi a Dio in sacrificio espiatorio, continuando con amore e incontrarsi con chi non è riconciliato, anche se può sembrare amore inutile.