Riportiamo il messaggio che Papa Francesco ha inviato ai partecipanti all’Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita. L’incontro, che si svolge dal 3 al 5 marzo presso il centro Conferenze dell’Augustinianum, ha come tema “The End of the World? Crises, Responsabilities, Hopes”.
Il messaggio di Papa Francesco
Cari Accademici, è per me sempre un piacere rivolgermi alle donne e agli uomini di scienza, come pure alle persone che nella Chiesa coltivano il dialogo con il mondo scientifico. Insieme potete servire la causa della vita e il bene comune. E ringrazio di cuore Mons. Paglia e i collaboratori per il loro servizio alla Pontificia Accademia per la Vita. Nell’Assemblea generale di quest’anno vi siete proposti di affrontare la questione che oggi viene definita “policrisi”. Essa riguarda alcuni aspetti fondamentali della vostra attività di ricerca nel campo della vita, della salute e della cura.
Il termine “policrisi” evoca la drammaticità della congiuntura storica che stiamo vivendo, in cui convergono guerre, cambiamenti climatici, problemi energetici, epidemie, fenomeno migratorio, innovazione tecnologica. L’intreccio di queste criticità, che toccano contemporaneamente diverse dimensioni della vita, ci induce a interrogarci sul destino del mondo e sulla nostra comprensione di esso. Un primo passo da compiere è quello di esaminare con maggiore attenzione quale sia la nostra rappresentazione del mondo e del cosmo. Se non facciamo questo e se non analizziamo seriamente le nostre resistenze profonde al cambiamento, sia come persone sia come società, continueremo a fare ciò che abbiamo fatto con altre crisi, anche recentissime. Pensiamo alla pandemia da covid: l’abbiamo, per così dire, “sprecata”; avremmo potuto lavorare più a fondo nella trasformazione delle coscienze e delle pratiche sociali (cfr Esort. ap. Laudate Deum, 36). E un altro passo importante per evitare di rimanere immobili, ancorati alle nostre certezze, alle nostre abitudini e alle nostre paure, è ascoltare attentamente il contributo dai saperi scientifici. Il tema dell’ascolto è decisivo. È una delle parole-chiave di tutto il processo sinodale che abbiamo avviato e che ora si trova nella sua fase di attuazione. Apprezzo quindi che il vostro modo di procedere ne riprenda lo stile. Vedo in esso il tentativo di praticare nel vostro ambito specifico quella “profezia sociale” a cui anche il Sinodo si è dedicato (Doc. finale, 47).
Nell’incontro con le persone e con le loro storie e nell’ascolto delle conoscenze scientifiche, ci rendiamo conto di quanto i nostri parametri riguardo all’antropologia e alle culture esigano una profonda revisione. Da qui è nata anche l’intuizione dei gruppi di studio su alcuni temi emersi durante il percorso sinodale. So che alcuni di voi ne fanno parte, valorizzando pure il lavoro svolto dall’Accademia per la Vita negli anni scorsi, lavoro di cui vi sono molto riconoscente. L’ascolto delle scienze ci propone continuamente nuove conoscenze. Consideriamo quanto ci dicono sulla struttura della materia e sull’evoluzione degli esseri viventi: ne emerge una visione molto più dinamica della natura rispetto a quanto si pensava ai tempi di Newton. Il nostro modo di intendere la “creazione continua” va rielaborato, sapendo che non sarà la tecnocrazia a salvarci (cfr Lett. enc. Laudato si’, 101): assecondare una deregulation utilitarista e neoliberista planetaria significa imporre come unica regola la legge del più forte; ed è una legge che disumanizza.
Possiamo citare come esempio di questo tipo di ricerca p. Teilhard de Chardin e il suo tentativo – certamente parziale e incompiuto, ma audace e ispirante – di entrare seriamente in dialogo con le scienze, praticando un esercizio di trans-disciplinarità. Un percorso rischioso, che lo conduceva a domandarsi: «Mi chiedo se non sia necessario chequalcuno lanci il sasso nello stagno – finisca anzi per farsi “ammazzare” per aprire il cammino». Così egli ha lanciato le sue intuizioni che hanno messo al centro la categoria di relazione e l’interdipendenza tra tutte le cose, ponendo homo sapiens in stretta connessione con l’intero sistema dei viventi. Questi modi di interpretare il mondo e il suo evolversi, con le inedite modalità di relazione che vi corrispondono, possono fornirci dei segni di speranza, dei quali andiamo in cerca come pellegrini durante questo anno giubilare (cfr Bolla Spes non confundit, 7).
La speranza è l’atteggiamento fondamentale che ci sostiene nel cammino. Essa non consiste nell’attendere con rassegnazione, ma nel protendersi con slancio verso la vita vera, che porta ben oltre lo stretto perimetro individuale. Come ci ha ricordato Papa Benedetto XVI, la speranza «è legata all’essere nell’unione esistenziale con un “popolo” e può realizzarsi per ogni singolo solo all’interno di questo “noi”» (Lett. enc. Spe salvi, 14).
Anche per questa dimensione comunitaria della speranza, davanti a una crisi complessa e planetaria, siamo sollecitati a valorizzare gli strumenti che abbiano una portata globale. Dobbiamo purtroppo constatare una progressiva irrilevanza degli organismi internazionali, che vengono minati anche da atteggiamenti miopi, preoccupati di tutelare interessi particolari e nazionali. Eppure dobbiamo continuare a impegnarci con determinazione per «organizzazioni mondiali più efficaci, dotate di autorità per assicurare il bene comune mondiale, lo sradicamento della fame e della miseria e la difesa certa dei diritti umani fondamentali» (Lett. enc. Fratelli tutti, 172). In tal modo si promuove un multilateralismo che non dipenda dalle mutevoli circostanze politiche o dagli interessi di pochi e che abbia un’efficacia stabile (cfr Esort. ap. Laudate Deum, 35).
Si tratta di un compito urgente che riguarda l’umanità intera. Questo vasto scenario di motivazioni e di obiettivi è anche l’orizzonte della vostra Assemblea e del vostro lavoro, cari membri dell’Accademia perla Vita. Vi affido all’intercessione di Maria, Sede della Sapienza e Madre della Speranza, «mentre, come popolo pellegrinante, popolo della vita e per la vita, camminiamo fiduciosi verso “un nuovo cielo e una nuova terra” (Ap 21,1)» (S. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Evangelium vitae, 105). Per tutti voi e per il vostro lavoro imparto di cuore la mia benedizione.
Dal Bollettino della Sala Stampa Vaticana