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Tarantini: “L’icona è una preghiera dipinta”

L’intervista all’insegnante di sostengo e iconografa Lorena Tarantini, che spiega a Interris.it le fasi della pittura delle icone e il loro senso

L’arte come ponte tra il quotidiano e il sacro. Insegnante di sostegno, abilitata a insegnare materie pittoriche, e iconografa, nella vita di Lorena Tarantini la pittura ha un ruolo molto importante. Formazione accademica nelle discipline artistiche, l’incontro con il mondo delle icone è stato fortuito – “quasi tutte le scelte più importanti della mia vita hanno scelto me, più che io loro”, dice a Interris.it – e l’ha condotta a una dimensione interiore più profonda, come quella che si raggiunge nei momenti in cui ci si raccoglie in preghiera, in silenzio. E infatti prima di dipingere, anzi scrivere, una di questa raffigurazioni sacre, si recita la preghiera dell’iconografo.

L’intervista a Lorena Tarantini

Come ti sei avvicinate al mondo delle icone?

“La curiosità si è accesa quando ho visto l’annuncio di un corso di iconografia tenuto da una professionista, Maria Galie, mi sono iscritta e ho cominciato a frequentare le lezioni, momenti simili a quelli della preghiera, in silenzio. In quel periodo stavo anche frequentando delle catechesi sui dieci Comandamenti e c’era dentro di me, credente che aveva vissuto la fede restando un po’ nel proprio, un avvicinamento ulteriore. Il mondo delle icone mi ha ‘rapita’: non è come dipingere un quadro, infatti si dice che l’icona viene scritta. L’icona è una preghiera dipinta”.

Foto di Lorena Tarantini (per gentile concessione)

Come si realizzano?

“E’ una pittura che si fa su tavola, la cui superficie viene preparata con colla e gesso alla, poi si stende un’argilla, il bolo rosso armeno, che si incide per creare dei decori, infine si stende la doratura. Terminato questo primo processo, si recita la preghiera dell’iconografo poi lentamente si stendono le pennellate, come se ciascuna fosse una parola.  Si parte dai colori più scuri procedendo verso i più chiari, un cammino dall’oscurità alla luce”.

Quando dipingi un’icona è come se stessi pregando?

“Sì, anche perché tutto inizia con una preghiera. E’ una cosa molto introspettiva, meditativa, non un momento di svago. Alcune delle icone che ho fatto le ho tenute per me, altre le ho regalate. Per me rappresentano più un oggetto artistico, le potrei fare su commissione se dall’altra parte c’è una devozione”.

Quali sentimenti ti suscitano l’arte e la pittura?

“Libertà di esprimersi senza vincoli e tanta calma interiore. Ci sono artisti irrequieti, mentre io la vedo come un momento di gioia, di riflessione interiore, volto al bene. Considero la mia un’arte per tutti e mi fa piacere che possa raggiungere le altre persone e comunicargli qualcosa”.

Foto di Lorena Tarantini (per gentile concessione)

Un evento del Giubileo è stato dedicato agli artisti…

“Quando sono arrivata a Roma da studentessa, venticinque anni fa, vidi quel Giubileo con gli occhi di una giovane, stavolta ho una maturità diversa. La Chiesa ha sempre parlato per mezzo degli artisti, sono stati i mediatori della Parola verso il popolo, e sapere che c’è stato un evento pensato per loro mi fa molto piacere. Secondo me i capolavori della storia dell’arte che rappresentano la storia di Cristo e della Bibbia sono talmente belli da essere stati ispirati”.

Quest’anno è il Giubileo della speranza. C’è una relazione tra arte e speranza?

“La speranza è la strada che dobbiamo percorrere per raggiungere la meta a cui siamo destinati e penso che anche l’arte possa essere una via per lo stesso punto d’arrivo. L’arte può anche essere un incitamento alla speranza”.

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