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Myanmar, i 4 anni di una guerra dimenticata

Analisi e testimonianze del quarto anniversario dell’inizio del conflitto nell'ex Birmania. La Chiesa nel mirino

Tra le guerre dimenticate quella in Myanmar è una delle più complesse. “In Myanmar è in atto una guerra civile– sottolinea Aspenia-. La situazione nel Paese si è infuocata dopo il golpe del primo febbraio 2021. Quando le forze armate birmane guidate dal generale Min Aung Hlaing sono salite al potere con un colpo di Stato. Hanno arrestato Aung San Suu Kyi – ex consigliera di Stato e premio Nobel per la pace nel 1991 – e molti altri esponenti di spicco della League for Democracy (NLD) – il partito vincitore delle elezioni del novembre 2020. Spazzando via quella fragile democrazia nata poco più di un decennio fa. La popolazione, nonostante la sanguinosa repressione dell’esercito, è prima scesa in strada pacificamente. E poi ha iniziato una resistenza armata senza precedenti, che vede uniti gli eserciti etnici (Karen, Karenni, Kachin, Chin, Shan e Arakan) e la People’s Defence Force (PDF), braccio armato del National Unity Government (NUG), il governo clandestino che si è costituito dopo il golpe”. Nel quarto anniversario dell’inizio del conflitto nell’ex Birmania, la fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) ha celebrato una giornata globale di preghiera per la pace in Myanmar. La sede internazionale della fondazione e le 23 sezioni nazionali hanno coinvolto benefattori e collaboratori in turni di preghiera, per consentire una partecipazione continua lungo 24 ore. Ciascuna sezione nazionale di Acs ha condotto i propri momenti di preghiera, ma molte persone hanno pregato anche individualmente. “Noi di Aiuto alla Chiesa che Soffre siamo profondamente toccati dalla situazione in Myanmar. Questa giornata è stata un’opportunità per tutti, indipendentemente dal luogo di provenienza, per unirsi in un appello collettivo per la pace e la riconciliazione”, afferma Regina Lynch, presidente esecutivo di Acs Internazionale.

Myanmar
La Birmania o Myanmar. Foto di Christian Holzinger su Unsplash

Myanmar soffre

Aggiunge Regina Lynch: “In Myanmar si aggrava la situazione di sofferenza. Durante la giornata di preghiera abbiamo ricordato le vittime e i defunti del conflitto. Chiedendo conforto per le loro famiglie e pace eterna per coloro che sono morti. I nostri fratelli e sorelle soffrono per bombardamenti, fame, mancanza di elettricità e mezzi. Sacerdoti e religiosi spesso devono viaggiare per giorni per raggiungere le parrocchie più lontane, vivendo situazioni di pericolo. Ma, nonostante tutto, continuano a svolgere il loro lavoro. Ci ringraziano per l’aiuto dei benefattori e ci chiedono: ‘Per favore, pregate per noi, pregate per la nostra sicurezza, pregate per le nostre famiglie, pregate per la nostra gente’. Quindi è quello che abbiamo fatto e vogliamo continuare a fare” Un messaggio di pace che arriva lontano. Acs ha invitato benefattori, sostenitori e partner dei progetti di tutto il mondo ad aderire a questa iniziativa. Inoltre ha incoraggiato tutti a condividere questo appello sui social network e nei circoli comunitari, in modo che il messaggio di pace arrivi ancora più lontano. Spiega Lynch: “Abbiamo pregato per i sacerdoti, le religiose e i volontari che si impegnano ogni giorno per portare speranza e conforto alle vittime. Che siano un riflesso dell’amore divino, il solo in grado di lenire tanta sofferenza”. Nel contesto del conflitto in Myanmar, la preghiera diventa un’ancora di speranza per coloro che lottano per sopravvivere.

Myanmar
Foto di Saw Wunna su Unsplash

Chiesa in pericolo

La fondazione pontificia Acs ha raccolto diverse preghiere dedicate al popolo birmano. Tra cui la preghiera per i rifugiati del Myanmar, che invoca conforto per le vittime e protezione per chi ha perso tutto. La preghiera per la sicurezza di sacerdoti, suore e catechisti, che ogni giorno mettono a rischio la propria vita per portare il messaggio di speranza. La preghiera per i giovani in Myanmar, spesso costretti a fuggire per evitare il reclutamento forzato. La preghiera per le vocazioni in Myanmar, affinché nonostante le difficoltà, possano continuare a nascere nuove chiamate alla vita consacrata. In Myanmar la situazione per la Chiesa è particolarmente difficile e pericoloso. Oltre 5.000 persone si sono riunite, nonostante i pericoli e la violenza generalizzata, nel villaggio di Pyin Oo Lwin per rendere l’ultimo saluto e pregare per  il sacerdote don Donald Martin Ye Naing Win, barbaramente ucciso da un gruppo di 10 aggressori il 14 febbraio nella sua parrocchia di Nostra  Signora di Lourdes nell’arcidiocesi di Mandalay. Il villaggio montano di Pyin Oo Lwin è il luogo natio di padre Donald, dove vive la sua famiglia, riferisce l’agenzia missionaria vaticana Fides. Lì, salendo sulla montagna, si sono riversati sacerdoti, religiosi, fedeli e l’arcivescovo di Mandalay, Marco Tin Win. Tutti si sono riuniti nella chiesa cattolica dell’Assunzione di Maria per celebrare la messa funebre, donare conforto e consolazione alla famiglia di padre Donald, presente nel luogo,  e provvedere alla sepoltura del sacerdote.

Myanmar
screenshot da Google Maps

Sincera vicinanza

La commossa partecipazione della gente, raccontano fonti di Fides presenti alla celebrazione, ha fatto da cornice a un’eucaristia celebrata con intensità e compostezza, in cui l’arcivescovo ha letto il messaggio giunto dalla nunziatura apostolica di Yangon e quello della Conferenza episcopale del Myanmar, che esprimono profonda e sincera vicinanza alla popolazione locale. L’arcivescovo Marco Tin Win ha presieduto l’eucarestia. Ha inviato i fedeli “a destarsi perché la violenza porta solo morte e distruzione ed  è sempre una sconfitta”. E ha lanciato un accorato appello “a tutti i gruppi armati e agli attori coinvolti nel conflitto” affinché depongano le armi e intraprendano un percorso di pace e riconciliazione. Ha poi affidato padre Donald, la sua famiglia e tutta la comunità presente alle amorevoli mani della Vergine Maria. “La Madonna lo accompagni in Paradiso e protegga tutti  sotto il suo manto,  donando consolazione e speranza“, ha detto il presule. La comunità locale domanda di conoscere le cause dell’omicidio insensato di un prete che si dedicava con ardore al prossimo. In particolare, riferiscono fonti locali, padre Donald era impegnato a organizzare l’opera informale di istruzione di bambini e ragazzi nel territorio della sua  parrocchia di Nostra Signora di Lourdes. Dove era il primo parroco, e dove vivono una quarantina di famiglie cattoliche. Infatti, dato il conflitto civile, la violenza e lo sfollamento,  le scuole sono chiuse, non ci sono insegnanti. E solo le lezioni informali dispensate volontariamente da preti, religiosi, catechisti cercano di garantire un minimo di continuità nel percorso educativo dei piccoli e dei giovani.

collaborazione
Birmania. Immagine di repertorio. Foto di Anika De Klerk su Unsplash

Zone liberate

Sta di fatto che nell’area non c’è presenza dell’esercito birmano e che il territorio è controllato dalle Forze di Difesa Popolari (PDF) , che si oppongono alla giunta militare. Ai vertici di quelle Forze è stato chiesto di indagare sui gruppi armati che hanno aggredito e ucciso con accanimento il sacerdote. Le milizie hanno fermatodieci uomini, “vigilantes”  locali del villaggio di Kan Gyi Taw, dove padre Donald è stato ucciso, per comprendere le ragioni e la dinamica dell’accaduto. Le Forze di Difesa Popolari, notano fonti di Fides, hanno tutto l’interesse a fare chiarezza, a individuare e punire i colpevoli. E hanno trasferito i fermati al tribunale istituito dalle stesse PDF, in quelle che vengono attualmente definite “zone liberate”, cioè non sotto il controllo del governo birmano. “La Cina fa il classico doppio gioco. In questo momento non amano la giunta e probabilmente sono stati infastiditi dal colpo di Stato, ma sono pragmatici e possono lavorare con loro e continuare a vendergli armi“, dice ad Aspenia Zachary Abuza, docente al National War College di Washington e uno dei massimi esperti di Sud-est asiatico. E aggiunge: “Pechino è sicuramente frustrata dal fatto che i suoi progetti Belt and Road (cioè  il programma di investimenti sull’asse euroasiatico) tra cui ferrovie, strade e porti, siano in questo momento tutti arenati, ma non taglieranno mai i legami con loro, sono troppo interessati alla regione“.

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